I PARTITI SAREBBERO CIECHI SE NON VARASSERO SUBITO UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE – SENZA DI ESSA, CHIUNQUE VINCA LE ELEZIONI NON RIUSCIRÀ A GOVERNARE CON UN PARLAMENTO FRAMMENTATO E CAOTICO
Editoriale di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera del 6 novembre 2012
I partiti farebbero cosa saggia se seguissero le esortazioni del capo dello Stato a varare nel pochissimo tempo che resta una decente legge elettorale. E non solo per sensibilità istituzionale e per non lasciar cadere in modo sciatto l’allarme del Quirinale su una riforma ineludibile. Ma perché per lucrare nell’immediato su un piccolo vantaggio alla vigilia del voto, si rischia il disastro per i tempi che verranno dopo le elezioni. E perché l’avevano promessa, una nuova legge elettorale, anche per dimostrare che i partiti esistono malgrado il governo tecnico. Se non fossero capaci di trovare un accordo, si dimostrerebbero miopi. E incapaci. Senza appello. Con il Porcellum inalterato o con una legge elettorale che peggiorerebbe le cose se venisse gratificato di un premio di maggioranza non la coalizione bensì il singolo partito, chiunque vincerà le elezioni non riuscirà a governare con un Parlamento frammentato e caotico.
Dopo il terremoto siciliano, l’idea di premiare il singolo partito, sotto l’effetto dell’incubo di un Grillo che arriva inopinatamente primo, appare un po’ intiepidita. È forte la tentazione di lasciare le cose come stanno. Ma se si cedesse all’immobilismo, si commetterebbero due errori fatali. Il primo: non si rimedia all’espropriazione degli elettori che ancora una volta non potrebbero votare i loro rappresentanti ma semplicemente ratificare le nomine volute dalle oligarchie dei partiti. Scelgano loro le forme e i modi per evitare questo oltraggio al diritto di scegliere chi mandare in Parlamento. Ma la scelta di non scegliere e di lasciare le cose come stanno sarebbe un incitamento all’astensione, una nuova frattura tra il ceto politico e un’opinione pubblica esterrefatta e delusa. Il secondo errore sarebbe la sottovalutazione dei rischi che la nuova legislatura inevitabilmente dovrà affrontare se, come sembra evidente da tutti i sondaggi e alla luce del semplice buon senso, il divario tra i voti della coalizione vincente e la maggioranza dei seggi «drogata» con un gigantesco premio a chi vince dovesse risultare troppo marcato. Sarà possibile governare se chi vince le elezioni otterrà il 30, massimo il 35 per cento dei voti?
E se, come è molto probabile, questa percentuale dovesse essere calcolata su un corpo di cittadini votanti ulteriormente ridotto da una febbre astensionistica simile a quella siciliana, come sarà possibile affrontare le tempeste della crisi con un consenso tanto risicato? Si può governare stabilmente con il consenso di più o meno un quarto degli italiani, adottare misure severe e «impopolari» con la stragrande maggioranza degli italiani che non si riconosce in quella che regge le redini del governo? Nell’ingorgo istituzionale che seguirà il momento elettorale, con la scelta del nuovo presidente della Repubblica si aggiungerà anche il rischio che una minoranza iperpremiata possa condizionare in modo determinante il Quirinale. L’esiguità di questo consenso si farebbe notare con tutti i suoi effetti negativi. Dalla sinistra e dalla destra dello schieramento politico si cementerebbe un’opposizione la cui spinta la maggioranza di governo dovrà arginare con una compattezza che oggi, viste le forze in campo, è difficile immaginare. È difficile anche capire se i partiti, molto attenti, e legittimamente, al loro particulare si rendono conto della situazione esplosiva che rischiano di suscitare. Non sarà solo una legge elettorale a scongiurarne i pericoli. Ma senza una legge elettorale nuova quei pericoli diventeranno una certezza. È quello che tenta di spiegare Napolitano, alla vigilia del termine del suo mandato.
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