“TROVO PIÙ CONVINCENTE IL PROGRAMMA DI RENZI; MA BERSANI IN REALTÀ È PIÙ AVANTI DEL PROPRIO PROGRAMMA – COMUNQUE I DUE DOCUMENTI NON SONO AFFATTO INCOMPATIBILI TRA LORO; E A ENTRAMBI IL PD DEVE ATTINGERE PER CRESCERE NEL PROSSIMO FUTURO”
Articolo di Giacomo Correale Santacroce, pubblicato on line sul sito del Pd di Monza, Il Giornale On Line, ottobre 2012
Ho letto i programmi di Bersani e di Renzi, così come compaiono sui rispettivi siti (e ho letto anche l’ultima versione della Carta d’Intenti, che mi sembra una versione ampliata del programma di Bersani).
Come è stato detto, i due documenti hanno natura diversa: il primo ha un carattere generale, da riempire di contenuti. Il secondo è al contrario una enunciazione di proposte specifiche, con indicazioni di costi da sostenere e di fonti da cui attingere, con molti esempi di buone pratiche straniere e nostrane da seguire. Il primo in molti punti appare, più che generale, generico. Il secondo sembra un po’ ottimistico dal punto di vista finanziario.
Per lo più, non ho rilevato contrasti tali da renderli incompatibili. Al contrario, proposte analoghe si trovano nell’uno e nell’altro. Condivido la ovvia osservazione di Luciana Litizzetto, circa l’accusa da parte di Fassina a Renzi di aver copiato la Carta d’Intenti per quanto riguarda la realizzazione degli asili nido: “Ma non appartengono allo stesso partito?”.
Ci sono comunque alcune differenze di qualche peso, che hanno richiamato la mia attenzione e che meritano, a mio parere, una riflessione, alla ricerca di una conciliazione che vedo molto ragionevolmente possibile, anche se forse con tempi non brevi.
Il programma di Bersani è molto centrato sull’uguaglianza, che è anche il titolo di uno dei dieci punti programmatici. Il programma di Renzi punta invece molto sulla meritocrazia (senza trascurare ovviamente l’uguaglianza, soprattutto dei punti di partenza).
Sono inconciliabili questi due orientamenti? Direi proprio di no.
Non ho alcun dubbio che anche Bersani, se diventasse Presidente del Consiglio, punterebbe su una convergenza uguaglianza-meritocrazia. Mi chiedo però quanto sensibile sia una certa componente del PD alla meritocrazia. Credo che Bersani farebbe bene a prendere posizione sull’argomento.
Un’altra differenza riguarda la domanda: “A chi si rivolge il candidato”?
Nel discorso di Bersani ricorre continuamente il leit-motiv “democratici e progressisti”, come proponenti ma, implicitamente, anche come destinatari del messaggio.
Il programma di Renzi non indica, mi sembra, nessun destinatario, e quindi, implicitamente, si rivolge a tutti i cittadini.
L’espressione “democratici e progressisti” sembra a me una trovata per superare la precedente, più esplicita, “amici e compagni”. Ma il significato è lo stesso.
Da sempre, come sanno i miei amici democratici (o riformisti) del Circolo 6, ho criticato questa espressione, che trovo arcaica ed escludente. Così come ho spesso ripetuto quello che Renzi ha detto recentemente: che con questa chiusura, di antico sapore classista, il PD è destinato a restare plafonato intorno al 25% dell’elettorato.
Fuori dai denti: finché il PD verrà vissuto, invece che come frutto della stagione dell’Ulivo, come l’ultima trasfigurazione del PCI, il tetto è assicurato, in basso.
Credo che in qualsiasi paese democratico chi si candida a governare il paese debba rivolgersi a tutti i cittadini di buona volontà. Nella convinzione che, come ha detto Massimo Gramellini citando la fidanzata di un giovane ucciso per errore dalla camorra, “noi siamo di più”.
Un’ultima differenze riguarda il capitolo del lavoro, su cui vorrei soffermarmi.
Anche qui, al di là della retorica del lavoro come fondamento della dignità umana, mi sembra che il programma di Bersani non tenga conto della realtà in cui viviamo, nel bene e nel male: della “società liquida” di cui parla Baumann. Mi sembra che più che sul lavoro ci si attardi nella difesa statica del posto di lavoro. Si considerano i settori e le imprese come entità statiche, e non come flussi, quali sono.
Non si fa tesoro dell’esperienza, che ha visto passare in cinquant’anni l’occupazione in agricoltura dal 40% al 5%, e quella nell’industria manifatturiera e ormai anche nei servizi (si pensi alle banche) in rapido declino, grazie al progresso tecnologico e all’informatizzazione. Una azienda che voglia stare al passo con la produttività e la competizione, cioè sopravvivere, deve necessariamente “fare di più con meno”.
Può conservare e magari aumentare l’occupazione solo se opera in un mercato in crescita o se è capace di strappare quote di mercato ai concorrenti (come la VW). Altrimenti deve licenziare.
Allora lo Stato deve evitare che la mobilità si trasformi in precarietà, puntando su un salario di cittadinanza (o di sicurezza) e su servizi, soprattutto di formazione, che aiutino i lavoratori a entrare in imprese in crescita, che spesso non trovano le persone di cui hanno bisogno. Le battaglie di retroguardia (la difesa dei posti di lavoro) sono sempre necessarie, ma in condizioni di emergenza.
Mi sembra che da questo punto di vista il programma di Renzi, basato sulla flexsecurity e sulle proposte di Ichino, sia più efficace e lungimirante.
Sul tema del lavoro, penso che tutti e due i programmi dovrebbero riprendere la riflessione sul vecchio slogan “Lavorare meno, lavorare tutti”, anche sulla base degli studi del Wuppertal Institut.
A livello nazionale (seguendo l’esempio della Germania, i cui orari di lavoro sono inferiori a quelli dell’Italia), europeo e anche globale, di diritti dell’uomo (gli operai cinesi che lavorano dodici ore al giorno per produrre gli i-Pad della Apple sono espressione di un male globale).
Per concludere. E’ chiaro che trovo più convincente il programma di Renzi. Ma io sono nello stesso tempo convinto che Bersani sia più avanti del suo programma, e che il suo intento sia quello di innovare, ma con più prudenza di Renzi.
Mia auguro che il PD del futuro, chiunque vinca, trovi in Bersani e in Renzi due colonne robuste. Di un tempio alto quaranta metri.
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