LE RAGIONI DELLA DEBOLEZZA DEL SISTEMA ITALIANO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI DI FRONTE AL POTERE POLITICO E LEGISLATIVO
Testo integrale dell’intervista a cura di Marco Lo Prete, pubblicata su il Foglio del 19 ottobre 2012 con alcuni tagli per ragioni di spazio
Confindustria – lo scrive perfino il Sole24Ore – trascina per le lunghe e diluisce l’accordo per la competitività per tenere dentro la Cgil, mentre allo stesso tempo bacchetta incessantemente il governo. Poi la Cgil spiega che lei era d’accordo con Confindustria ma l’intervento del governo ha fatto saltare tutto. Come valuta questa curiosa consonanza? Solo casuale o ci sono interessi in comune tra industriali organizzati e lavoratori da difendere in questo caso?
Una lettura benevola del comportamento di Confindustria è questa: nell’ultimo anno il sistema italiano delle relazioni industriali si è rivelato debolissimo a fronte del potere politico. Squinzi è convinto che questa debolezza dipenda soprattutto dal dissenso della Cgil; e cerca di recuperarla al dialogo, saldando la frattura. Il problema è che la debolezza e inconcludenza del sistema delle relazioni industriali dipende dalla mancanza di una ‘visione lunga’ sugli obiettivi da perseguire, comune a tutti i protagonisti.
Il discorso ovviamente si può ampliare alla riforma del lavoro. Ora si parla di correttivi sulla flessibilità in entrata: Confindustria giubila, sindacato non si oppone. Eppure sull’aumento della flessibilità in uscita (superamento dell’articolo 18) Confindustria era rimasta tiepida, per usare un eufemismo. Il padronato italiano ha paura di assumere con tutte le garanzie (a tempo indeterminato, etc.) a causa della paura ancora maggiore di licenziare?
In realtà il nuovo articolo 18, varato con la legge Fornero, ha cambiato molto incisivamente la disciplina dei licenziamenti: non è affatto vero che si tratti di “acqua fresca”, secondo l’opinione che nei mesi scorsi era prevalsa engli ambienti di viale dell’Astronomia. Già dalle prime esperienze di applicazione della nuova norma si vede abbastanza chiaramente che essa ha segnato il passaggio da un regime di job property a un regime sostanzialmente allineato a quelli dei nostri maggiori partner europei. Sono convinto che questo importante mutamento, quando la generalità degli imprenditori ne avrà preso atto, determinerà una minore riluttanza ad assumere con rapporto di lavoro dipendente regolare a tempo indeterminato. Però, perché questa consapevolezza del nuovo regime si diffonda, occorrerà ancora qualche mese. Quanto al lavoro precario, il problema a mio avviso non è costituito dai contratti a termine, ma dalle collaborazioni autonome fasulle o borderline. Bene, dunque, la modifica della norma sugli intervalli
tra i contratti a termine regolari, che non mi è mai piaciuta; purché non si torni indietro sul contrasto all’abuso delle collaborazioni autonome.
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