“L’INTERVENTO LEGISLATIVO SULLO SCIOPERO NEL SETTORE DEI TRASPORTI NON DEVE INTACCARE IL DIRITTO COSTITUZIONALE A QUESTA FORMA DI LOTTA SINDACALE”
Intervento di Nino Cortorillo, segretario regionale della FILT-CGIL lombarda – 11 marzo 2009. Segue una mia breve replica
Il disegno di legge presentato dal Governo sul diritto di sciopero, o come scritto “sulla prevenzione dei conflitti”, se si tramuterà in legge, modificherà radicalmente l’attuale impianto derivato dalla 146/90 e dalla 83/2000.
La premessa del Governo, nonché altre proposte di legge che si sono susseguite negli ultimi anni, parte da valutazioni negative sul numero complessivo dei conflitti – anche quelli legittimamente indetti-, sulla loro cadenza, sulla loro sovrapposizione, a volte sulla natura spontanea e priva di comunicazione anticipata all’utenza, sull’alto numero di soggetti sindacali titolati alla proclamazione di uno sciopero, e sulla inefficacia delle sanzioni, spesso coincidente con il settore dei trasporti e della mobilità delle persone.
La recente relazione della Commissione di Garanzia ha fornito dati complessivi degli scioperi indetti, senza una lettura dei dati disaggregati. Mancano i soggetti che indicono gli scioperi, la distribuzione nazionale, regionale e aziendale, le ragioni e l’esito del conflitto. Da una nostra analisi degli scioperi indetti tra marzo ed aprile, per un periodo di circa 30 giorni, abbiamo riscontrato che nei settori ferroviario, aereo e trasporto pubblico locale, sono stati indetti 60 scioperi, nazionali e locali, di cui 17 da parte di soli sindacati confederali, 29 soli sindacati autonomi, 14 confederali ed autonomi. Foa e Di Vittorio, così come Lama, che era fortemente convinto di una legge, sono i nostri riferimenti ed è evidente che il diritto di sciopero ed il diritto alla mobilità, vissuto come un diritto individuale della persona, hanno contenuti e conseguenze oggi ben diverse rispetto al passato. E sbaglieremmo a non tenere conto di bisogni ed esigenze delle persone e della società così tanto cambiati. L’equilibrio tra due diritti costituzionalmente garantiti, ancorché demandati a norme applicative, deve trovare però principi e procedure coerenti. Quale sia questo equilibrio sta non solo al legislatore, ma ad una complessa, e però indispensabile valutazione, non solo del conflitto, ma delle relazioni nel quale esso si esprime, che attiene anche ad imprese, organizzazioni sindacali, associazioni degli utenti, ed opinione pubblica. L’insieme delle norme proposte punta invece, come fine, a ridurre il numero degli scioperi, se non ad impedirli, sia attraverso la riduzione dei soggetti titolati all’indizione, sia per mezzo di complicate procedure da mettere in atto.
Lo sciopero diventa quindi un disvalore e di fronte all’incapacità del sistema di renderlo sopportabile, il legislatore ritiene di interviene alla radice del problema. Lo sciopero diviene un problema puramente quantitativo, che si affronta attraverso un insieme di disposizioni, regole e procedure volte a ridurne unicamente il numero e l’impatto. Molti dei contributi e delle opinioni lette in questi giorni disegnano un quadro, sia nei comportamenti sindacali di tutti i sindacati, che delle imprese, ed ipotetici modelli di relazioni sindacali, che non trovano riscontro nella realtà. Nel 2003 il famoso sciopero di Atm, ancorché improvviso e certamente sbagliato, veniva dopo ben 13 scioperi, inutilmente fatti in 24 mesi, per il rinnovo del Contratto Nazionale.
Qualcuno ha memoria di una lotta così lunga ed inascoltata in qualunque settore privato? Il sindacato sbaglierebbe a non assumersi responsabilità di un sistema che complessivamente ha portato a comportamenti e degenerazioni nell’utilizzo del conflitto. Analoga responsabilità dovrebbe essere assunta dalle imprese e da un ceto manageriale spesso (penso a tante aziende pubbliche o che forniscono servizi pubblici) assolutamente inadeguato e insensibile al tema dei diritti degli utenti. Salvo scoprirli in occasione degli scioperi. Così come le istituzioni, sia locali che nazionali, dovrebbero avere un ruolo più attivo nella gestione e prevenzione dei conflitti, non limitandosi a quello burocratico o autoritario. Non mi convince invece l’unificazione del ruolo dell’attuale Commissione di Garanzia con la nuova “Commissione per le relazioni di lavoro” poiché il mediatore della trattativa diventerebbe il garante della legge sugli scioperi.
Giungendo al rischio di esser chiamato a giudicare i propri atti e comportamenti in una vertenza specifica o ad assumere decisioni funzionali ai due ruoli, la mia esperienza di molti anni nel sindacato dei trasporti mi ha portato a maturare alcune convinzioni che provo quindi a riassumere. Se in un settore, e quindi per i sindacati ed i lavoratori coinvolti, si trova una specifica regolazione e limitazione dell’esercizio del diritto di sciopero, cosa che ritengo assolutamente corretta, si dovrebbe anche riscrivere l’applicazione dell’insieme delle norme che attengono alla rappresentanza, ai diritti di relazione, informazione, e partecipazione. Se quindi il legislatore ritiene che nei trasporti il conflitto dovrebbe essere regolato diversamente dagli altri settori, allora a quei sindacati e lavoratori vanno fornite garanzie, tutele e opportunità, attraverso una disciplina specifica. Faccio un esempio. Se la procedura di licenziamento collettivo ( L. 223/93) o di cessione d’attività ( L. 428/90) ha tempi utili ad una valutazione congiunta e permette al sindacato di usare anche lo sciopero per condizionare l’impresa in un qualunque settore privato, nel settore dei trasporti lo sciopero arriverebbe a valle della procedura. Quindi a licenziamenti o trasferimenti effettuati.
In che modo impedire che l’impresa utilizzi le norme sul diritto di sciopero per disequilibrare i rapporti con il sindacato? Non sarebbe quindi opportuno determinare differenti tempi e modalità nelle procedure di legge? Si tratta inoltre di disciplinare l’effettività dei rinnovi dei Ccnl, dei contratti aziendali, e di altre rilevanti vertenze, anche assegnando un diverso ruolo arbitrale a soggetti istituzionali non coinvolti nella vertenza. Nulla si aggiunge, poi, sulla necessità di un nuovo sistema di relazioni sindacali, nel quale ai soggetti siano assegnate maggiori responsabilità, luoghi permanenti di confronto, e magari al sindacato la possibilità di esprimere per intero, anche sulle decisioni strategiche, la propria opinione. Nessun settore, come quello dei trasporti, ha una presenza così diffusa ed articolata di sindacati: confederali, autonomi, di base, di mestiere, ed aziendali, spesso privi di rappresentanza o portatori di interessi particolari.
Condivido da tempo la necessità di misurare e rendere effettiva la rappresentanza e semplificare i soggetti dotati di potere contrattuale, attribuendo a valle anche la titolarità dell’esercizio del diritto di sciopero. Analogamente ai contenuti della legge sulla rappresentanza del pubblico impiego, si dovrebbe consegnare ai lavoratori di un’impresa e/o di un settore, la libera scelta di quali sindacati sono rappresentativi. Andrebbero individuati e misurati tre criteri di rappresentatività attraverso: l’iscrizione ad un sindacato, il voto dei lavoratori, la contrattazione nazionale o aziendale.
Così come prevede la legge 300, si dovrebbe distinguere tra la libera associazione e il riconoscimento di specifici diritti e prerogative ai soggetti che dimostrano una reale rappresentatività. Una rappresentatività forte e certificata ed un superamento dell’attuale frammentazione, ai fini dell’indizione dello sciopero, non può però avvenire in forma surrettizia come si ricava dalle attuali proposte di legge. Immaginare infatti di inserire procedure di referendum preventivo sullo sciopero, in realtà nelle quali nemmeno si vota per le Rsu o sulla validazione degli accordi, suona oggettivamente strumentale. Questi tempi infatti consentirebbero al datore di lavoro di mettere in atto in assoluta autonomia e senza alcun ostacolo qualunque decisione.
Così come la pre-adesione individuale, da effettuarsi ben prima dello sciopero non esclude pressioni e condizionamenti, fra l’altro già oggi presenti in molte realtà, pensiamo solo ai lavoratori precari e più giovani. Lo sciopero virtuale, penso all’esperienza dei controllori al volo non ha prodotto gli obiettivi che vengono citati, quasi fosse una medicina miracolosa. Hanno, almeno ad oggi, aggiunto un livello di raffreddamento nelle vertenze prima dell’effettuazione dello sciopero. Altro caso sarebbe la tutela del cittadino e dell’utente, salvaguardato dall’effetto dello sciopero, ma che potrebbe e dovrebbe comportare un reale ed effettivo danno per l’impresa. Mentre però la proposta di legge individua – da subito – le sanzioni per i lavoratori ed i sindacati, non definisce nuove responsabilità e sanzioni a carico delle imprese. E questo non appare casuale.
Da ultimo. Nella mia esperienza reale la Filt, con la Cgil, è il sindacato che maggiormente si è fatto carico dell’equilibrio dei diritti di lavoratori e cittadini. Deriva dalla sua storia, ed ancora oggi da una concezione di sindacato generale che tenta di coniugare principi di coesione sociale e di tutela di diritti specifici. I diritti non sono mai assoluti. Vanno difesi, ma anche gestiti con ponderazione. Lo sciopero non è l’unico strumento di tutela dei lavoratori, lascio questa idea ad altri sindacati. Ma un sindacato confederale che non sapesse tenere insieme rappresentanza, contrattazione e titolarità del diritto di sciopero, perderebbe in poco tempo questo suo ruolo o lo vedrebbe trasformato profondamente in altro. Non è detto che sarebbe più avanzato e moderno di oggi.
Nino Cortorillo
Segretario Generale FILT Lombardia
Mail: Nino.Cortorillo@cgil.lombardia.it
Concordo con molte delle cose che scrive Nino Cortorillo. Ma mi sembra che da tutto il dibattito in corso sullo sciopero nel settore dei trasporti pubblici non emerga la consapevolezza della degenerazione gravissima verificatasi nell’ultimo quarto di secolo nel sistema di relazioni sindacali in questo settore. La media di più di uno sciopero al mese in ciascuno dei comparti, con scioperi regolarmente proclamati anche la settimana dopo la firma del contratto collettivo, con le confederazioni sindacali maggiori sistematicamente messe nell’angolo dai sindacati autonomi e talora – come nel caso Alitalia – anche questi ultimi messi nell’angolo da comitati estemporanei, tutto questo impone un intervento legislativo che aiuti il sistema a ritrovare se stesso. Non possiamo, poi, non confrontare la nostra disciplina della materia con quella degli altri maggiori Paesi europei, tutti – tranne quello francese – caratterizzati da una regola maggioritaria. Mi interesserebbe conoscere il pensiero di Nino Cortorillo anche sul disegno di legge che ho presentato, insieme a numerosi altri senatori del PD, PR e UDC, il 25 febbraio scorso. (p.i.)