RIFORMA ELETTORALE: DAVVERO VOGLIAMO ADOTTARE IL MODELLO GRECO?

L’ASSURDITÀ DI UN SISTEMA CHE, PER UN VERSO, NON DÀ ALCUNA GARANZIA CIRCA LA GOVERNABILITÀ DEL PAESE, PER ALTRO VERSO ASSOGGETTA I PARLAMENTARI PER DUE TERZI (QUELLI ELETTI CON LE PREFERENZE) AL POTERE ECONOMICO COL QUALE DOVRANNO INDEBITARSI, PER UN TERZO (QUELLI ELETTI SU LISTA BLOCCATA) AL POTERE POLITICO DEGLI APPARATI

Nota di Stefano Ceccanti, membro della Commissione Affari Costituzionali del Senato, 11 ottobre 2012


1.      IL MODELLO EVIDENTE DI RIFERIMENTO: LA GRECIA
C’è un unico sistema conosciuto in cui si mettono insieme le preferenze (che non esistono in nessuna grande democrazia) e un sistema proporzionale a premio: la Grecia. Lì lo sbarramento è al 3% e il premio al 15% al primo partito (dato che le coalizioni pre-elettorali non si usano né lì né altrove, tranne che da noi).
Il dettaglio è qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Politica_della_Grecia

2.      IL PROBLEMA MAGGIORE: DUE TERZI DI DIPENDENZA DAI GRUPPI ESTERNI CON LE PREFERENZE SU LARGA SCALA E UN TERZO DI RISERVA PER IL GRUPPO DIRIGENTE RISTRETTO
Per ciò che concerne la scelta degli eletti in ogni circoscrizione due terzi sono con preferenze (ammesse due, purché a candidati di genere diverso) e un terzo su lista bloccata. Ognuno si può candidare in una sola circoscrizione per le preferenze e in tre listini bloccati. Al Senato la circoscrizione è l’intera Regione (così grande che nella prima Repubblica nessuno osò mai introdurvi le preferenze), mentre alla Camera dovrebbero resuscitare le 31 circoscrizioni pluriprovinciali della prima Repubblica, quelle che erano cadute in seguito ai referendum del 1991 e del 1993. Da segnalare che gli scandali relativi alla raccolta delle preferenze del passato e all’accumulo di tesoretti per quelle future concernono circoscrizioni che si fermano ad una sola provincia, quindi ben più piccole di quelle qui previste e che richiederanno quindi fortissime organizzazioni personali compresa l’ampia raccolta fondi e un rapporto molto forte con finanziatori privati. Più che le singole scelte degli elettori conteranno quindi i gruppi esterni di appoggio, con una dipendenza radicale della politica. Da ciò resterà comunque esente un gruppo dirigente ristretto per il restante terzo. Per fare un esempio se il Pd in Toscana prenderà 9 seggi di senatore, 6 saranno quelli con più preferenze e i primi 3 del listino bloccato.
Già solo per questo è stato giusto non votare il testo-base e, se dovesse rimanere così, solo per questo non si potrebbe votare il testo finale.
Se si vuole un sistema misto, allora la cosa più logica è riproporre su questo aspetto il tedesco, netà collegi e metà liste corte.
Però, obiettivamente, non c’è solo questo.

3.      L’ALTRO PROBLEMA: GOVERNABILITÀ COL PREMIO DI COALIZIONE? INCENTIVI A COALIZIONI ETEROGENEE E/O UNA SCISSIONE TRA COALIZIONI PRE-ELETTORALI E POST-ELETTORALI
Premesso che nella situazione data, con un’elevata frammentazione di partenza partiti e coalizioni, è difficile (forse impossibile) trovare una soluzione che passi solo per il sistema elettorale e non anche per altri elementi aggreganti, come l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, emergono comunque problemi seri. Almeno sembrano tali a me, spero che qualcuno mi smentisca.
Per ciò che concerne la governabilità c’è infatti un premio nazionale di 76 seggi alla Camera e di 37 al Senato, dato alla coalizione, scelta analoga alla legge vigente. Proviamo a ragionare in modo un pò rozzo e veloce sui numeri. Ciò significa che se vuoi arrivare alla maggioranza autosufficiente di 316 seggi, ammettendo che tu prenda per ipotesi 6 seggi su 12 nella circoscrizione estero, devi prendere nella parte proporzionale altri 234 per sommarli ai 6 del voto estero e ai 76 del premio. Il sistema è perfettamente proporzionale alla Camera perché l’assegnazione è nazionale: quindi per ottenere 234 seggi sul totale di 542 (i 630 totali meno i 76 del premio e i 12 del collegio estero) dovresti ottenere il 43,1%. Siccome però è ragionevole ipotizzare che alcune liste restino sotto lo sbarramento sprecando più o meno il 10% dei voti complessivi, si può pensare che basti il 40%, una soglia che nella situazione data non ha nessuna coalizione.
Se si vuole si può anche fare il conteggio da un altro punto di vista, ma i risultati non cambiano. Ammettiamo che la prima coalizione prenda il 36% dei voti. Nell’ipotesi che si disperdano a liste che non superano lo sbarramento più o meno il 10% dei voti, ciò significa che quel 36% diventerà un 40% e quindi la coalizione prenderà 217 seggi sui 542 della parte proporzionale. Sommando 6 seggi della circoscrizione estero e 74 del premio si arriva a 297.
Come può retroagire ciò sulle forze politiche? Anzitutto esse sono obiettivamente spinte a rifare coalizioni eterogenee per arrivare a tale soglia, ponendosi solo dopo il problema del Governo. Per noi il fantasma di Di Pietro si riavvicina..Se esse riescono a resistere a tale tentazione è allora inevitabile che le coalizioni post-elettorali per formare il Governo siano diverse da quelle che si presentano agli elettori e non solo nel senso, come può essere anche normale, che si aggiungano altri alleati, ma anche nel senso che qualcuno di coloro che erano nella coalizione pre-elettorale debba essere escluso. Infatti ci potrebbe essere un’incompatibilità tra alleati pre e post-elettorali.
E’ pertanto molto difficile sostenere la coerenza di un premio di coalizione anziché di partito quando per varie ragioni (a cominciare dal fatto che per la frammentazione il premio potrebbe essere abnorme) esso non può farti arrivare alla maggioranza assoluta. Se il premio non ti può portare fin lì, allora dovrebbe essere di partito, cosìcché quella forza politica potrebbe essere poi il perno per le alleanze successive, evitando di dover eliminare dal Governo qualche alleato che si era presentato con te, di presentare agli elettori una coalizione finta.
Ripeto: qui le soluzioni in positivo non sono facili agendo solo sul sistema elettorale. Però non è che la difficoltà delle alternative può farci iognorare i problemi serissimi anche di governabilità.
Stefano Ceccanti

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