SE IL PD VOLESSE SCONGIURARE UN MONTI-BIS, DOVREBBE PARADOSSALMENTE PROPORSI ESSO STESSO COME PROTAGONISTA DI UN GOVERNO FORTEMENTE IMPEGNATO PER L’ATTUAZIONE DELL’AGENDA MONTI – NON SU BERSANI O RENZI, MA SULL’EREDITÀ DI MONTI IL PD È CHIAMATO A DECIDERE
Editoriale di Antonio Polito pubblicato sul Corriere della Sera del 29 settembre 2012
Il problema del Monti-bis è il Pd. Di quella ipotesi, per cui spingono fortemente tutti i nostri partner internazionali, il partito di Bersani è insieme la causa e l’impedimento. Essa nasce infatti da una diffusa sfiducia nella capacità del vincitore delle elezioni di proseguire il risanamento; ma il maggior ostacolo alla sua realizzazione sta proprio nella resistenza del probabile vincitore delle elezioni, cioè il Pd.
Se sulla fede di Casini non si possono infatti aver dubbi, è facilmente prevedibile che anche un Berlusconi sconfitto alle elezioni aderirebbe senza esitare a un Monti bis pur di restare in gioco. È solo ipocrita agitazione, dunque, quella di oggi contro la Germania, Paese di cui il Cavaliere minaccia l’espulsione dall’euro con la stessa credibilità con cui Woody Allen si vantava di aver preso a nasate il ginocchio del rivale in una rissa.
Resta quindi il Pd. Nessuno ovviamente pretende che il candidato vincente alle primarie firmi oggi un atto di abdicazione a favore di Mario Monti: sia Bersani sia Renzi si rifiutano. Ma un netto e credibile impegno di continuità sì che si può pretendere, e non arriva. La promessa di Bersani di non fare passi indietro rispetto alla serietà e alla sobrietà del governo attuale davvero non basta. Nessuno infatti dubita della serietà e sobrietà di Bersani. Ciò di cui si dubita è che un governo da lui guidato abbia la forza e la volontà di andare nella stessa direzione del governo Monti. Per tre ragioni.
La prima è politica, e macroscopica: Bersani propone un’alleanza con Vendola, il quale si propone di ribaltare l’agenda Monti. La seconda ragione è programmatica: i responsabili Economia e Lavoro, Fassina e Damiano, assicurano che il Pd cambierà la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro, una volta al governo, cioè il cuore dell’agenda Monti. E non sono chiacchiere: alla Camera c’è già un disegno di legge che reintroduce l’istituto della pensione di anzianità. D’altra parte, se il Pd dichiara di voler tornare indietro sull’articolo 18 per via legislativa, Vendola fa più uno e propone di cambiarlo per via referendaria. La terza ragione è sindacale: la Cgil ha appena bocciato, sconfessando il suo stesso leader di categoria, l’intesa innovativa che era stata raggiunta sul contratto dei chimici, orientata proprio a quel recupero di produttività su cui l’agenda Monti punta per curare il male italiano della bassa crescita.
È il riflesso quasi pavloviano di queste rincorse a sinistra, peraltro ben note ai governi Prodi, a far temere che un governo Bersani non si limiterà a correggere l’agenda Monti «mettendoci un po’ di equità in più», ma possa smarrirla presto: per esempio nella primavera del 2014, quando dopo un solo anno di legislatura dovrà schierarsi sul referendum firmato dal ministro Vendola.
Se il Pd volesse davvero scongiurare un Monti bis, dovrebbe paradossalmente fare proprio il programma del Monti bis, proporsi esso stesso come il bis. E infatti c’è un’ala consistente di quel partito che lo chiede. Per risolvere un tale scontro di linea politica servirebbe un congresso. Nel Pd si faranno invece le primarie. Ma dietro la gara di personalità tra Bersani e Renzi si intravede il profilo del convitato di pietra. È su Mario Monti e sulla sua eredità che il Pd è in realtà chiamato a decidere.
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