PROVINCIA DI COMO: I TEMI CALDI DEL LAVORO

MARCHIONNE NON È UN MALFATTORE – IL MERITO FONDAMENTALE E I DIFETTI DELLA RIFORMA FORNERO – LA SFIDA TRA BERSANI E RENZI

Intervista a cura di Alberto Galimberti, pubblicata sul quotidiano La Provincia di Como, 28 settembre 2012

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Marchionne non è un malfattore, la Riforma Fornero ha avuto il merito di riscrivere l’art. 18 e la sfida Renzi–Bersani va giocata sul terreno dell’Agenda Monti. Pietro Ichino, giuslavorista e senatore Pd, intervenuto lunedì 24 a Turate in un dibattito pubblico organizzato dall’associazione “ProgettiamoTurate”, conferma di essere un “battitore libero” che ama andare controcorrente.

Professor Ichino, iniziamo dalla Fiat. I 20 miliardi del progetto “Fabbrica Italia” sono scomparsi, permangono esuberi e cassa integrazione, eppure Marchionne ribadisce che l’azienda torinese non lascerà l’Italia. È credibile?
Nel 2003 la Fiat era tecnicamente un’impresa fallita. In quelle condizioni è stata affidata a Marchionne, che ha realizzato l’internazionalizzazione del gruppo attraverso la fusione con la Chrysler: un assetto che consente alla Fiat di reggere oggi una perdita, in Italia, di 700 milioni l’anno. Nel 2010 Marchionne ha proposto un progressivo investimento sugli stabilimenti italiani, con la prospettiva di un totale di 20 miliardi in 10 anni. La prima tranche d’investimento, pari a 1 miliardo e mezzo, era prevista su Pomigliano e Grugliasco-Bertone. Per questa prima parte, l’investimento è stato fatto. Ma non dimentichiamo che quando l’Ad torinese ha presentato il piano, nel 2010, il mercato europeo delle automobili aveva già perso il 15% del volume delle vendite: si sperava però che la recessione fosse passata e che, dopo aver toccato il fondo, sarebbe venuta presto la ripresa.

Non era meglio puntare sulla progettazione e la commercializzazione di nuovi modelli?
Marchionne dice che in quella fase lanciare un nuovo modello avrebbe comportato un ulteriore miliardo d’investimento, e che ora la Fiat starebbe molto peggio se avesse compiuto quella scelta. La speranza di una ripresa del mercato dell’auto si è rivelata infondata, perché negli ultimi due anni esso ha continuato a contrarsi in tutta Europa, con l’Italia che registra i peggiori dati rispetto al resto del Continente.

La Fiom propone la nazionalizzazione della Fiat.
La nazionalizzazione della Fiat significherebbe tornare a quanto accadeva con l’Alfa Romeo, quando una Giulietta veniva messa sul mercato a 5 milioni di lire, mentre ne occorrevano 10 per produrla.

Crisi nel settore automobilistico, ma più in generale crisi occupazionale: perché si sono inceppati gli ingranaggi del mercato del lavoro italiano?
Marchionne avrà anche fatto degli errori, ma è sbagliato considerarlo come un malfattore colpevole di averci danneggiato. Purtroppo sono molte le zavorre che appesantiscono il nostro tessuto produttivo, a cominciare dai difetti di funzionamento delle amministrazioni e delle infrastrutture, per continuare con il costo eccessivo dell’energia e con un tasso innaturalmente basso di senso civico diffuso. Poi c’è il malfunzionamento del nostro mercato del lavoro: il tasso di occupazione più basso e le buste paga più leggere, a parità di altre condizioni, rispetto al resto di Europa; la grande anomalia di una forte discriminazione tra una fascia di lavoratori dipendenti supertutelati e una di precari senza diritti, quello che ho definito un vero e proprio apartheid; da ultimo, un tessuto produttivo ermeticamente chiuso agli investimenti stranieri.

Chi ne risente maggiormente sono i giovani. Secondo gli ultimi dati Istat, il 33% di coloro che hanno tra i 16 e i 24 anni è senza lavoro.
L’Italia ha un tasso elevatissimo di skill shortages, cioè soffre la mancanza di persone con le qualità adatte per coprire i posti di lavoro richiesti. Si calcola che in Veneto, con una popolazione di circa 5 milioni, ci siano permanentemente 45.000 posti di lavoro scoperti per mancanza di personale qualificato. Posti che aspettano lavoratori da formare per svolgere quelle professioni. Questo è un altro grave problema: la formazione in Italia è sempre stata concepita in funzione degli interessi dei formatori e non degli allievi. Non si rilevano mai i tassi di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi: si preferisce nascondere il sudicio sotto il tappeto.

Come valuta la riforma del lavoro varata dal ministro Fornero?
La legge Fornero ha il difetto di esser scritta male, con una tecnica legislativa che ne rende complessa la lettura. Anche per quel che riguarda i contenuti, va detto che ci sono cose che andrebbero corrette. Tuttavia, essa ha il merito di aver realizzato qualcosa che non è eccessivo indicare come una svolta epocale. In primo luogo perché ha riscritto l’art. 18, ciò che non era per niente scontato si riuscisse a fare: l’Italia in questo modo passa da un regime di job property a un regime molto più allineato rispetto al resto di Europa. Inoltre la legge ha realizzato una riforma degli armonizzatori sociali che era attesa ormai da 18 anni e nessun governo precedente era riuscito a fare: il governo Monti ha vinto la resistenza congiunta di sindacati e Confindustria, voltando pagina rispetto all’uso dissennato della cassa integrazione e introducendo un unico trattamento di disoccupazione al 70% applicabile a tutti per la durata di un anno. Infine, essa ha incominciato a intaccare il dualismo del mercato del lavoro di cui si diceva, tra gli inamovibili e i totalmente precari.

Il dibattito sulle primarie agita il centrosinistra. Chi sosterrà Ichino: il segretario Bersani o il sindaco “rottamatore” Renzi?
Il tema delle prossime elezioni politiche è lo stesso di quello delle primarie: siamo convinti della scommessa europea dell’Italia che il governo Monti ha impostato, raggiungendo su questo terreno alcuni primi risultati di enorme importanza? Oppure vogliano imboccare un’altra strada, come ha tentato di fare la Grecia dopo le prime elezioni della primavera scorsa? La mia scelta tra Renzi e Bersani avverrà sulla base della coerenza dei loro rispettivi programmi con l’Agenda Monti. Se Renzi riuscirà a coniugare la capacità di parlare ai delusi della politica con una seria metabolizzazione di un programma impegnativo e per nulla demagogico come quello che ha presentato il 13 settembre scorso a Verona, potrebbe essere lui la novità di cui la politica ha bisogno, il Tony Blair Italiano.
H

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