L’EFFETTO POSITIVO DEL CONTRATTO COLLETTIVO TRA AZIENDE DIVERSE PRESUPPONE LA POSSIBILITA’ DI FORTI INTERAZIONI TRA DI ESSE
Articolo di Andrea Ichino pubblicato dal Sole 24 Ore il 24 maggio 2008
Le macro regioni, che a volte travalicano i confini politici degli Stati, hanno ormai identità economiche ben più definite delle Nazioni stesse. Lo dimostra una crescente letteratura economica che prende il nome di New Economic Geography (Overman and Puga, Economic Policy, 2002). Ma mentre in tutto il mondo i sistemi di relazioni industriali si avviano in modo sempre più deciso su questa strada, in Italia resiste una anacronistica contrapposizione tra contrattazione collettiva aziendale e nazionale.
Emma Marcegaglia, neopresidente di Confindustria, nel suo discorso all’assemblea nazionale di giovedì ha proposto di «pensare in maniera nuova il confronto con i sindacati» e di avviare la riforma dei contratti; ha indicato anche l’opportunità di adottare come modello di un nuovo sistema di relazioni industriali quello tedesco. Indicazioni positive.
Il contratto nazionale è ormai un’arma spuntata non solo per gli obiettivi che un sindacato moderno dovrebbe avere, ma anche per quelli dichiarati ma meno comprensibili del nostro sindacato. Al tempo stesso qualche forma di contrattazione collettiva serve anche alle imprese e alla collettività. Ma allora a quale livello è utile a tutti contrattare? Proviamo a riflettere sui criteri che dovrebbero guidare una scelta tra le possibili soluzioni. Alla luce dell’accordo tra Cgil, Cisl e Uil sulla riforma della contrattazione collettiva, il discorso che segue può apparire fuori luogo e inattuale; ma le idee hanno bisogno di tempo per affermarsi (e in Italia più che altrove): propongo queste riflessioni per il negoziato che ci si augura parta presto.
Immaginate un Paese costituito da quattro isole di cui quelle a Ovest hanno solo imprese del settore produttivo “avanzato” (ad esempio, il metalmeccanico) mentre quelle a Est hanno solo imprese del settore “tradizionale” che offre profitti e salari inferiori (ad esempio, il commercio e servizi). Percorrendo invece il Paese lungo i meridiani, le due isole a Nord sono molto vicine tra loro, sono collegate da frequenti mezzi di trasporto hanno mercati del lavoro, dei beni e dei servizi integrati e condividono risorse e infrastrutture (ad esempio il porto e l’aereoporto). Lo stesso accade per le isole del Sud che hanno però un’economia nel complesso più debole soprattutto nel settore tradizionale. Le interazioni economiche tra le isole sono maggiori lungo i paralleli piuttosto che lungo i meridiani.
Se questo Paese seguisse il modello italiano la contrattazione nazionale unirebbe le isole da Nord a Sud, ma non tra Est e Ovest. Ossia avremmo il contratto nazionale del settore avanzato e quello del settore tradizionale invece che contratti regionali che riuniscano settori diversi nella stessa area geografica. Ma sarebbe un sistema di contrattazione inefficiente e anche iniqua. Iniqua, innanzitutto, perché a salari nominali uguali corrisponderebbero salari reali diversi nelle due regioni se i prezzi dei beni prodotti localmente fossero diversi, anche se fossero simili i prezzi dei beni acquistati internazionalmente. Ma sarebbe iniqua anche perché all’interno della stessa regione potrebbero differire grandemente i salari nominali (e reali) dei lavoratori dei due settori, se i contratti settoriali nazionali determinassero trattamenti nominali uguali nello stesso settore ma non nella stessa regione. Anzi al Sud sarebbero soprattutto i lavoratori del settore tradizionale, quello più debole, a pagare maggiormente, in quanto a poco gli servirebbe il debole aiuto dei lavoratori nello stesso settore al Nord.
Dal punto di vista della collettività e delle imprese una contrattazione che invece riunisca le isole lungo i paralleli, e quindi per regione invece che per settore, sarebbe probabilmente più efficiente, in quanto potrebbe tenere meglio conto delle caratteristiche locali e soprattutto delle maggiori interazioni economiche che inter-connettono i diversi settori della stessa regione. Mentre c’è probabilmente competizione tra imprese e lavoratori diversi dello stesso settore a Nord e a Sud, c’è cooperazione tra imprese e lavoratori diversi della stessa regione nella misura in cui usino risorse e infrastrutture comuni. E sarebbe una contrattazione più egualitaria anche dal punto di vista di un sindacato che volesse proteggere meglio i lavoratori più deboli della società. Ciò accadrebbe ad esempio perché lavoratori più svantaggiati del settore tradizionale troverebbero una spalla più solida nei lavoratori forti del settore avanzato all’interno della stessa regione, piuttosto che nei lavoratori del loro stesso settore tradizionale nell’altra regione.
Al di là del modello stilizzato, questo è il punto su cui riflettere: ha senso ed è efficiente una contrattazione coordinata tra realtà economiche diverse nella misura in cui esistano interazioni e interconnessioni tra queste diverse realtà (ossia ciò che gli economisti chiamano esternalità). E al tempo stesso, se in ogni regione ci fossero imprese dei settori forti, il sindacato conseguirebbe meglio il suo scopo anche se questo consistesse solo nell’innalzare i salari dei lavoratori più deboli al costo di ridurne la probabilità di occupazione. Ancor più la contrattazione regionale sarebbe nell’interesse di un sindacato moderno che sapesse sfruttare e adattarsi ad una realtà in continuo e rapido cambiamento, invece di fermarsi a strategie studiate ai tempi del padrone delle ferriere.
Non è questa una proposta che attenti all’unità della Nazione: le quattro isole di cui abbiamo parlato sono unite dalla loro millenaria storia culturale e sono comunque parte di una realtà federale continentale che diventerà col tempo sempre più importante dal punto di vista politico. E lo stato centrale in quel paese saggiamente si astiene dall’interferire con le parti sociali su quali siano la migliore forma e contenuto della contrattazione e così intende fare anche a livello locale. Sono le forze incomprimibili che favoriscono l’aggregazione economica tra soggetti diversi (la New Economic Geography) a suggerire a questo paese ipotetico che il modello italiano attuale deve essere abbandonato per avvicinarsi magari a quello tedesco, in cui la contrattazione è appunto diversificata tra i Länder dell’Est e dell’Ovest.
C’è un solo problema: che il contratto collettivo nazionale possa far comodo ai burocrati della contrattazione centrale per non essere costratti a cambiar mestiere.