“CHE NE È DEL PROGETTO ‘FABBRICA ITALIA’ DI MARCHIONNE?”

LA CRISI DEL COMPARTO ITALIANO DI FIAT-CHRYSLER NON TOGLIE NULLA ALLA BONTÀ DELLA SCELTA COMPIUTA DALLA MAGGIORANZA DEI LAVORATORI DI POMIGLIANO, MIRAFIORI E GRUGLIASCO NEL 2010 E DELLA SVOLTA CHE QUEGLI ACCORDI AZIENDALI HANNO PROPIZIATO NEL SISTEMA ITALIANO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI

Messaggio email pervenuto il 15 settembre 2012 – Segue la mia risposta
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Caro senatore Inchino (ai poteri forti), negli ultimi tempi la sento un po’ silenzioso sulla vicenda Fiat ora che il piano di Marchionne si è visto che era tutto un bleff, com’è che non ha più niente da pontificare? Non mi attendo una risposta ovviamente. Senza alcuna stima.
[messaggio di posta elettronica non firmato]
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Capisco la disistima; ma perché non firmare il proprio messaggio, anche – e soprattutto – quando esprime un dissenso? Rispondo, comunque, alla domanda dell’anonimo lettore: le ultime notizie circa la situazione critica degli stabilimenti italiani della Fiat non mi inducono a cambiare una virgola delle opinioni espresse negli ultimi due anni sulla vicenda dei contratti aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Per chi non abbia tempo o voglia di andarsi a rileggere i miei interventi nel Portale della vicenda Fiat, ne ricordo gli argomenti essenziali in estrema sintesi:
. – considero molto positivamente il contenuto dei tre contratti aziendali che sono stati stipulati nel Gruppo Fiat nel 2010, sia sotto il profilo strettamente giuridico (piena legittimità di quelle pattuizioni), sia sotto il profilo del modello di relazioni industriali che in quegli accordi si esprime;
. – attribuisco a quegli accordi una parte rilevante del merito della svolta nel nostro sistema delle relazioni industriali che si è concretata l’anno successivo, con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, firmato anche dalla Cgil: senza la vicenda Fiat, probabilmente quella svolta – con lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro e l’apertura ai piani industriali innovativi sul terreno dell’organizzazione del lavoro – non ci sarebbe stata;
. – senza gli accordi aziendali del 2010 non ci sarebbero stati neppure gli investimenti in essi previsti; non vedo, dunque, che cosa i lavoratori interessati avrebbero guadagnato col respingere quegli accordi, come la Fiom li invitava a fare; è ben vero che il piano industriale lasciava aperti alcuni interrogativi sul futuro, ma che cosa mai avrebbero guadagnato i lavoratori e il nostro Paese dal respingerlo
in limine?
. – quando quegli accordi sono stati discussi e sottoposti a referendum, non era ancora sorta la questione della esclusione della Fiom dalle rappresentanze sindacali riconosciute in azienda: esclusione che è avvenuta solo dopo la sottoscrizione, proprio in conseguenza del rifiuto di firmare da parte della stessa Fiom, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dal referendum del 1995;
. – considero sbagliata, in riferimento al sistema italiano, la norma contenuta nell’articolo 19 dello Statuto: per questo fin dal 2009 ho presentato, insieme ad altri 54 senatori Pd, un disegno di legge (n. S-1872/2009) che prevede il diritto dei sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori di firmare contratti aziendali con efficacia per tutti, e il diritto dei sindacati minoritari di non firmare, senza per questo perdere il diritto alla rappresentanza riconosciuta in azienda;
. –  sul piano della qualità dell’organizzazione, della sicurezza e igiene del lavoro e della produttività, considero lo stabilimento di Pomigliano un gioiello e ritengo che sarebbe una grande fortuna per il nostro Paese poter avere altri cento insediamenti industriali come questo (v. in proposito il mio intervento sul
Corriere della Sera del gennaio scorso: Pomigliano: quando la sinistra sbaglia il bersaglio;
. – conseguentemente considero la guerra senza esclusione di colpi condotta dalla Fiom contro il piano industriale della Fiat un gravissimo errore, oltre che un fatto incompatibile con un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente; certo non è questa guerra la causa della crisi che oggi gli stabilimenti Fiat stanno attraversando, ma altrettanto certamente essa non ha giovato né all’impresa, né ai lavoratori, né alla nostra immagine di fronte agli operatori economici di tutto il resto del mondo;
. – ho ben presente l’ansia, più che giustificata, che i lavoratori della Fiat oggi provano per la crisi attuale della nostra industria automobilistica; e sono ben convinto della necessità di una politica industriale che elimini le ragioni di quest’ansia; ma questa politica non può che consistere nell’aprire il nostro Paese agli investimenti stranieri, facendone un luogo ospitale e attraente per chi vuole insediarvi le proprie iniziative economiche; non mi sembra che a questo scopo sia di aiuto il continuare a dipingere e trattare, qui da noi, come un demonio quello stesso Sergio Marchionne che i sindacati e i lavoratori americani considerano un grande capitano d’industria;
. – a chi considera l’avvento di Sergio Marchionne al vertice della Fiat come una iattura ricordo che nel 2003 la stessa Fiat versava – per opinione di tutti gli esperti e dei suoi stessi vertici – in stato fallimentare; l’alternativa al piano Marchionne sarebbe consistita in un drastico taglio della produzione automobilistica, per concentrare il Gruppo sulle attività produttive economicamente più  capaci di reggere la concorrenza internazionale; l’altra via d’uscita – caldeggiata esplicitamente dai maggiori detrattori di Marchionne -, ovvero la nazionalizzazione di Fiat Auto, era allora ed è anche oggi assolutamente impraticabile; dunque, va benissimo criticare Sergio Marchionne, purché si proponga un’alternativa seria.   (p.i.)
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