GLI IMMIGRATI E IL CONDONO

LA DISCUSSIONE SUI RISCHI E I VANTAGGI DELLA SANATORIA VARATA DAL GOVERNO NON DEVE DISTOGLIERE L’ATTENZIONE DALLA NECESSITÀ DI UNA PROFONDA RISCRITTURA DELLA LEGGE CHE REGOLA I FLUSSI IN ENTRATA

Articolo di Tito Boeri pubblicato su la Repubblica l’11 settembre 2012


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È in guerra dichiarata contro l’evasione fiscale. Eppure anche il Governo Monti un mini-condono contributivo lo ha varato. È la sanatoria degli immigrati che permetterà ai datori di lavoro che abbiano in questi giorni versato una somma forfettaria di mille euro di regolarizzare lavoratori immigrati assunti irregolarmente. A fronte di questo versamento una tantum, si creerà debito, perché i lavoratori regolarizzati acquisiranno maggiori anzianità contributive, dunque in prospettiva pensioni più alte. Bene sottolinearlo prima che a qualcuno venga in mente di utilizzare le entrate della sanatoria per finanziare spesa corrente anziché per ridurre il debito pubblico. Vero che la misura vuole recepire una direttiva comunitaria contro lo sfruttamento degli immigrati per troppo tempo ignorata e offrirà per la prima volta ai lavoratori immigrati la possibilità di regolarizzarsi cooperando con la giustizia. Ma l’iniziativa spetta comunque al datore di lavoro ed è molto difficile che i casi di caporalato e sfruttamento degli immigrati vengano alla luce, senza un forte rafforzamento dell’ attività ispettiva. Inoltre la procedura di regolarizzazione è preclusa a datori di lavoro a basso reddito, quindi taglia fuori molte delle irregolarità più dure. Tra l’altro il principio della soglia è aberrante: solo i ricchi possono partecipare ai condoni! Probabile che molti datori di lavoro utilizzino questa opportunità per sanare irregolarità diffuse e prolungate nel versamento dei contributi. Non si tratta di casi isolati. Secondo l’ unica indagine rappresentativa degli immigrati irregolari condotta sin qui in Italia (dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti nel 2011 campionando le aree ad alta intensità di immigrati), questi sarebbero circa un quinto del totale, quindi più di un milione. Questo spiegherebbe anche perché il Censimento, che andando casa per casa copre anche gli immigrati irregolari, abbia scoperto un milione di immigrati in più di quelli stimati dalle statistiche ufficiali, che campionano la popolazione a partire dall’ anagrafe, quindi tra chi ha un regolare permesso di soggiorno. Inoltre potranno beneficiare della sanatoria anche datori di lavoro che abbiano assunto irregolarmente lavoratori regolarmente immigrati. Come tutte le sanatorie ex-post, anche questa rischia di offrire un messaggio ai datori di lavoro che in questo momento non pare certo opportuno: è possibile farla franca perché tanto, prima o poi, ci sarà un nuovo condono. Anche il più inflessibile dei governi, quello che sin qui si è impegnato di più nella lotta all’evasione, nel mezzo di una crisi del debito pubblico che non consente di abbassare la guardia, vi consente di mettervi in regola. Dunque quando si tornerà alla normalità della politica italiana, sanare irregolarità contributive sarà ancora più facile. L’unico modo di evitare di offrire questo messaggio, consiste nell’accompagnare il provvedimento con una riforma delle norme sull’ immigrazione che le rendano più efficaci nel contenere il fenomeno del lavoro irregolare tra gli immigrati. Ci vuole, in altre parole, un forte segnale di discontinuità rispetto alla normativa esistente. Bisogna dimostrare nei fatti di voler voltare pagina e di usare la sanatoria per ripartire da zero. Ma questo segnale di discontinuità proprio non arriva. La legge Bossi-Fini ha compiuto quest’estate dieci anni, un’eternità se si pensa agli immensi difetti di cui ha fin da subito dato prova, tant’ è che la costosissima burocrazia su cui si doveva reggersi non è mai stato creata. È una legge che si basa su di una doppia ipocrisia. La prima è che sia possibile assumere e magari formare la massa dei lavoratori poco qualificati prima ancora che questi arrivino in Italia. La seconda ipocrisia è che l’immigrazione possa essere resa temporanea semplicemente con un tratto di penna: dimezzando la durata del permesso di soggiorno, impedendo che ogni rinnovo allunghi la durata del periodo in cui si è regolari e introducendo un contratto di soggiorno che vincola la presenza regolare al fatto di avere un lavoro, al termine del quale bisogna tornare a casa se non si trova lavoro entro sei mesi. Che si tratti di ipocrisie, lo provano le tre sanatorie (per un totale sin qui di più di un milione di regolarizzazioni) varate da quando è in vigore quella legge. Il fatto è che gli immigrati vengono assunti solo dopo che sono in Italia e rimangono ben oltre la durata del loro permesso di soggiorno. Lo sanno tutti eppure nessuno osa proporre di cambiare la legge. Meglio andare avanti di sanatoria in sanatoria, permettendo in non pochi casi alla politica a livello locale di trattare gli immigrati come persone transitoriamente da noi, cui è possibile precludere l’ accesso alle graduatorie per le case popolari, l’accesso all’assistenza sociale o addirittura la possibilità di mandare i figli a scuola, soprattutto in prossimità di elezioni, salvo poi dover far passi indietro di fronte all’ azione della magistratura. Per tornare a crescere abbiamo bisogno di adottare una politica dell’immigrazione diametralmente opposta, che sia selettiva negli ingressi e investa nell’ integrazione dei nuovi arrivati, anzichè creare eserciti di irregolari. Si può premiare con la concessione direttamente del permesso di soggiorno chi ha meno problemi di assimilazione e che può fin da subito contribuire a realizzare quelle nuove idee imprenditoriali che sono il motore della crescita. Il nostro Paese in questa crisi sta perdendo moltissimi giovani talenti, peggiorando ulteriormente un saldo migratorio del capitale umano che già prima della Grande Recessione ci faceva perdere circa 6 laureati per ogni persona con istruzione terziaria che riuscivamo ad attrarre da altri paesi. Per far arrivare da noi i cervelli dei paesi emergenti e farli restare il più a lungo possibile bisogna evitare che ci sia discriminazione nelle assunzioni contro gli immigrati permettendo anche a chi non è cittadino italiano di accedere ai concorsi pubblici e di iscriversi agli albi professionali. Nell’elenco di cose fatte elaborato dal Consiglio dei ministri a fine agosto l’immigrazione figura all’ultimo posto e non a caso. Prevale nell’esecutivo una forma di autocensura che aumenta all’avvicinarsi della scadenza elettorale. Ma non accompagnare il condono contributivo con una riforma delle politiche dell’immigrazione darebbe un segnale di lassismo a chi evade le tasse proprio mentre si sta cercando di contrastare davvero l’evasione. I contributi degli extracomunitari sono troppo importanti per la sostenibilità del nostro sistema di protezione sociale: già oggi versano ogni anno 6 miliardi all’Inps senza peraltro in molti casi maturare (o richiedere successivamente) prestazioni previdenziali. E nella disgrazia della crisi di credibilità dell’Italia, c’ è anche il vantaggio di avere gli occhi del mondo puntati addosso. L’annuncio di una svolta nelle nostre politiche dell’immigrazione, di una chiara volontà di voler attrarre lavoro qualificato dall’ estero, non passerebbe certo inosservato.

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