LA POLITICA STRAORDINARIAMENTE INCISIVA DI DRAGHI E BCE COSTITUISCE UNA SOLA DELLE DUE GAMBE NECESSARIE PER USCIRE DALLA CRISI: L’ALTRA È COSTITUITA DALLA CAPACITÀ DEI GOVERNI DEI PAESI FINANZIARIAMENTE DEBOLI, COME L’ITALIA, DI DARSI SPONTANEAMENTE LE DIRETTIVE CHE ALTRIMENTI DOVREBBERO ESSERE LORO IMPOSTE DAL FONDO SALVA-STATI
Editoriale di Franco Bruni pubblicato sulla Stampa del 7 settembre 2012 – In argomento v. anche l’editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 4 settembre e la mia intervista al Piccolo del 9 settembre
La Bce ha mantenuto la promessa. Ha confermato il programma di acquisto di titoli dei Paesi con spread ingiustificati e ha precisato le modalità con cui procedere. Ha rinviato la palla ai governi e all’Ue, che devono attivare i meccanismi della «condizionalità»: infatti la Bce interverrà solo se i Paesi faranno richiesta di assistenza al fondo salva-Stati intergovernativo e si impegneranno a dar corso alle politiche da esso richieste.
Ieri Draghi ha cercato di essere convincente sulla questione delle «due gambe». Che è la seguente: le aspettative dei mercati, che esagerano gli spread e temono che l’euro si rompa, vanno domate dalla Bce, che fornisce una delle gambe necessarie. Senza la sua disponibilità a intervenire, i governi, per quanto virtuosi, non riescono a vincere le aspettative, che tendono ad auto-realizzarsi. Ma serve l’altra gamba: i governi che correggono le cattive politiche che hanno acceso le speculazioni; se si sono già disciplinati, assicurano che lo rimarranno; e le autorità europee controllano che la disciplina sia messa in pratica.
Senza la disciplina dei Paesi, la Bce non può curare durevolmente l’instabilità dell’area dell’euro. I suoi interventi saranno dunque «condizionati» al fatto che i governi chiedano assistenza e controllo.
Le colpe dei governi, passate o presenti, sono indiscutibili. Ma Draghi avrebbe potuto aggiungere che i guai dell’euroarea derivano anche dalle esitazioni con cui la cooperazione europea li ha affrontati. E’ mancato troppo a lungo, soprattutto da parte della Germania, il chiaro riconoscimento che la solidarietà finanziaria è indispensabile alla salute complessiva dell’economia e della finanza europee dove, a fronte di chi ha fatto troppi debiti, c’è chi ha accumulato troppi crediti e li ha investiti imprudentemente, incassando peraltro alti interessi sui titoli dei debitori. Le istituzioni europee sono state lente nell’organizzare il giusto misto di disciplina e solidarietà. Serve la terza gamba per sostenere il tavolo: la cooperazione europea nel suo insieme. Che in effetti sta prendendo nuova consistenza e ha finalmente programmi ambiziosi per accrescere l’unità economica e politica.
Draghi ha detto che ora la questione è «nelle mani dei governi». Per l’Italia ciò significa, fra l’altro, decidere se e quando chiedere l’aiuto dei fondi europei, sottoscrivere gli impegni necessari e con ciò permettere anche alla Bce di intervenire. Intendiamoci: l’Italia sta già seguendo un serio programma di aggiustamento e di riforma che ha formulato con convinzione, per essere più stabile e tornare a crescere. Se non darà l’impressione di voler tornare indietro e svincolarsi da una disciplina che, per quanto concordata con l’Europa, è in primo luogo nel suo interesse nazionale, non è escluso possa fare a meno di chiedere aiuto. Anche perché i mercati potrebbero accontentarsi del fatto che la Bce è ora pronta a intervenire, e noi siamo sulla strada dell’aggiustamento e delle riforme: lo spread potrebbe ridimensionarsi durevolmente da solo, senza bisogno di nuovi impegni, controlli e interventi.
Ma ciò non avverrebbe se la mancata coerenza delle nostre politiche e delle promesse elettorali tornasse ad alimentare il rischio-Italia. Oppure se fossimo colpiti più gravemente dal contagio dei guai di altri Paesi. O se si indebolisse la «terza gamba», il cammino verso una più profonda unione comunitaria: il che succederebbe, per esempio, se in Germania, anch’essa con elezioni in avvicinamento, prevalessero i nemici dell’integrazione e della solidarietà. Attorno alla Bundesbank si respira un’aria che sarebbe preoccupante se non fosse ai limiti dell’assurdo.
Perciò potremmo «non farcela da soli». Conviene preparare un modo giusto per chiedere l’assistenza europea. A far ciò ci aiuta una cosa che ha detto Draghi: la Bce interverrà anche a favore dei Paesi che chiederanno il cosiddetto «aiuto precauzionale». Il che significa non dichiarare una situazione fuori controllo ma ammettere precauzionalmente che, anche senza propria colpa, la situazione potrebbe peggiorare e si chiede solo, con i debiti impegni a comportarsi bene, di star pronti ad aiutarci. Qualche difficoltà verrebbe invece dal fatto che, come è stato precisato ieri, nel definireecontrollareladisciplinadeidebitori, potrebbe essere coinvolto il Fmi. A torto o a ragione ciò rischierebbe di aggiungere al quadro un tono di più invadente imposizione dall’estero che aumenterebbe il costo politico della nostra richiesta di aiuto.
In ogni caso non mi sembra possano esservi dubbi su come dobbiamo cominciare. E’ stato già detto e ripetuto da più parti: le forze politiche che appoggiano il governo devono impegnarsi solennemente a non abbandonare, anche dopo le elezioni, i programmi di aggiustamento e riforma che il governo ha disegnato e concordato con l’Ue. Lo scrivano nero (ma chiaro) su bianco. La propaganda elettorale sia con ciò coerente.
Legarsi le mani così, per non tornare a farci del male, è un’iniziativa nazionale. Nel caso chiedessimo l’aiuto dei fondi europei e della Bce, sarebbe facile tradurre il testo dell’impegno in un accordo con gli organi europei. I quali finirebbero per far poco più che recepire e approvare le intenzioni che manifestiamo nel nostro interesse. Anche i mercati applaudirebbero subito. Senza un impegno del genere, invece, la richiesta di aiuto sarebbe più traumatica e gli interventi di Draghi meno efficaci. E’ inutile perder tempo a discutere se chiedere o meno aiuto all’esterno se prima non troviamo modo di prendere un impegno serio al nostro interno.
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