PERCHÉ NON È BENE CHE IL PADRE LASCI IL POSTO IN AZIENDA AL FIGLIO

QUESTA PRATICA, MOLTO DIFFUSA IN ITALIA NEI DECENNI PASSATI, CORRISPONDE IN PIENO AL “MODELLO MEDITERRANEO”, FONDAMENTALMENTE FAMILISTICO, DI ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E DEL WELFARE, CON TUTTI I SUOI GRAVI DIFETTI

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 211, 30 luglio 2012,
È stata prassi costante per decenni in molte grandi aziende, dal settore bancario a quello delle poste, a quello aeroportuale e anche in molte imprese industriali. Oggi la ripropongono alla Nestlè Italia (Perugina), non più nella forma dell’assunzione del ventenne contestuale al pensionamento del padre (o zio, o nonno), perché con la legge Fornero si va in pensione più tardi: invece del pensionamento, ora l’azienda propone la riduzione dell’orario a part-time.  Solidarietà intergenerazionale, si dice. Ma non è così: siamo assai più vicini al modello del familismo amorale studiato da Edward Banfield (*). Perché dove questa è la regola i ragazzi non crescono coltivando le proprie capacità specifiche, la propria vocazione, poi cercando in giro per il mondo il lavoro che più desiderano e per il quale sono meglio tagliati, dunque quello nel quale possono essere più produttivi e guadagnare di più; crescono invece aspettando – come cosa loro dovuta – “un posto” purchessia, a un passo da casa. E quel posto non se lo conquistano, ma lo ricevono in eredità, come si eredita un appartamento o un pezzo di terra. Non ci si può, poi,  stupire, se amano meno il loro lavoro, se la loro produttività in quel posto è più bassa, se il loro livello di reddito è, di conseguenza, mediamente inferiore.
Operazioni di questo genere possono – in determinate circostanze – essere utili, ma a una condizione: che tra l’anziano che riduce l’orario e il giovane che viene assunto non ci sia alcun rapporto di parentela.

(*) Edward C. Banfield, The Moral Basis of a Backward Society, The Free Press, 1958 (trad. it.: Le basi morali di una società arretrata, il Mulino, 1976)
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