LA SPENDING REVIEW E L’INFERMIERE SENZA SIRINGA

PROTEGGERE I DIPENDENTI PUBBLICI OLTRE OGNI LOGICA DI EFFICIENZA E DI EQUITÀ VERSO GLI UTENTI E CONSUMATORI COMPORTA UN COSTO CHE NON PAGANO I POTENTATI ECONOMICI: LO PAGANO I CITTADINI PIU DEBOLI

Articolo di Andrea Ichino, pubblicato su l’Unità il 16 luglio 2012

“È giusto abbassare i costi di una siringa ma non tagliamo il posto dell’infermiere che fa le punture” ha detto Pierluigi Bersani; e sembra una frase da cui nessuno possa dissentire. Ma non è così per almeno quattro motivi.

In primo luogo, se l’infermiere fa male le punture è forse preferibile che si dedichi ad un altro lavoro utilizzando i soldi rispamiati del suo salario per pagare di più gli infermieri che invece sanno fare bene le punture e che, magari per anni, hanno sopperito alle lacune del collega incapace. Concorsi, sanatorie ope legis e assunzioni non basate sul  merito, hanno riempito gli organici di persone che non sempre sono all’altezza dei compiti a loro assegnati e sono disposte ad impegnarsi come sarebbe necessario in uno Stato moderno: dirigenti innanzitutto, ma anche semplici dipendenti. Se lo Stato ha oggi bisogno di tagliare la spesa pubblica, perché queste persone devono avere un diritto intoccabile a un salario pagato dalla collettività, senza nemmeno rendersi disponibili a trasferimenti in altri ambiti sotto-dimensionati dell’amministrazione?

In secondo luogo, se ammettiamo l’esistenza di un giustificato motivo economico di licenziamento nel settore privato, perché lo stesso motivo non deve valere anche per il settore pubblico? E quale motivo economico sarebbe allora più giustificato della situazione di grave crisi in cui versa lo Stato italiano? La pressione fiscale non può essere ulteriormente aumentata e la riduzione del debito deve passare anche attraverso una riduzione della spesa per il personale, come accade nelle aziende private,  con tutti gli ammortizzatori sociali che in un Paese efficiente devono facilitare la transizione dei lavoratori dagli impieghi improduttivi a quelli che invece fanno crescere.

E questo porta a riflettere sul terzo motivo per cui la frase di Bersani dovrebbe lasciare perplessi. Con la sua logica, utilizzata per decenni, la spesa pubblica è stata assorbita quasi interamente dalle retribuzioni. Con posti di lavoro bloccati e salari gestiti secondo la logica  del “poco a tutti” e degli incrementi basati sulla sola anzianità, gli uffici pubblici si sono trasformati in enormi falansteri che mantengono un numero eccessivo di persone alle quali, però, ormai mancano gli strumenti (e la motivazione) per lavorare. Tra breve, l’infermiere di Bersani non avrà più nessuna siringa da usare, cara o a buon mercato che sia!  È impossibile gestire bene un’azienda, ma anche un’amministrazione pubblica, quando oltre il 95% delle spese è costituto da voci “intoccabili”. Il “fattore lavoro” in Italia, per essere meglio valorizzato, non può continuare ad essere un “fattore fisso”.

Infine, considerare come inamovibili i dipendenti pubblici pone problemi di equità. Se c’è un settore in cui gli interessi di consumatori e lavoratori sono contrapposti, questo è il settore pubblico. E un’amministrazione statale inefficiente, danneggia soprattutto i meno abbienti. L’insegnante di inglese che non far bene il suo mestiere, l’università con troppi professori ma senza laboratori e strutture adeguate, o, restando con Bersani, l’ospedale con tanti infermieri ma senza siringhe, non sono un problema per i ricchi, che una soluzione la trovano sempre.

Tutelare i dipendenti pubblici oltre ogni logica di efficienza e di equità è un costo che non pagano i “potentati economici”: lo paghiamo noi tutti, e sopratutto i più deboli tra noi.

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