SUI LIMITI DELLA SCELTA DEL GOVERNO IN MATERIA DI RIDUZIONE DEGLI ORGANICI PUBBLICI

BENE LE MISURE DEL GOVERNO VOLTE A RAZIONALIZZARE L’UTILIZZO DA PARTE DELLA PA DELLE SOCIETÀ IN HOUSE, MALE INVECE LA RIDUZIONE INDIFFERENZIATA DEGLI ORGANICI, CHE NON MIRA ESSENZIALMENTE AL MIGLIORAMENTO DELLA PERFORMANCE

Lettera di Andrea Tardiola, dirigente del ministero della Funzione pubblica, pervenuta il 14 luglio 2012

.Caro Pietro,
questa è una riflessione sulle scelte di spending review che hanno preso corpo nei giorni scorsi e, più in generale, sul loro significato dentro quella che tu chiami “linea Monti”.
Alcune delle disposizioni del decreto varato il 6 luglio sono di portata significativa, penso a quelle relative alle società in house delle amministrazioni, laddove mirano a razionalizzare quella amministrazione parallela poco (spesso male) governata e addirittura poco conosciuta: basti pensare che, nonostante le diverse iniziative in proposito, ancora non disponiamo di un dato puntuale sul numero e le caratteristiche di bilancio delle partecipate degli enti locali [1].
Trovo invece poco convincenti le misure relative alla riduzione degli organici perché temo che questa impostazione prevalente – cioè il mero taglio – non produrrà incrementi alla qualità e al valore che le amministrazioni devono generare. Ovviamente comprendo che questa scelta, nell’immediato, viene letta positivamente da osservatori e investitori internazionali come segnale di un governo fermo sull’obiettivo del rigore. Tuttavia, il rischio di puntare prioritariamente sull’obiettivo dei tagli è quello di rinviare l’attenzione, ancora una volta, al tema davvero strutturale della performance e della qualità dell’azione pubblica.
Te lo scrivo perché tu sei stato protagonista del ritorno di questo tema nel dibattito sulla “riforma
amministrativa”. Temo, infatti, che la reazione delle burocrazie a questo “esodo” finirà, nei prossimi mesi e anni, per concentrare grossa parte dell’attenzione di quelle figure che dovrebbero essere preposte a programmi di innovazione e miglioramento: vertici apicali, responsabili del personale e delle relazioni sindacali,
dirigenti di strutture complesse. Questi vedranno le loro giornate e agende impegnate in un processo di “accompagnamento all’uscita” del personale (nel migliore dei casi, perché in altri li vedremo concentrare le loro abilità di burocrati per predisporre interpretazioni derogatorie che, come sai bene, non mancheranno di fiorire), invece che occuparsi di: migliorare la qualità della programmazione; consolidare o avviare sistemi seri di monitoraggio delle attività; valutare i risultati ottenuti; coinvolgere gli utenti dei servizi in ciascuna di queste fasi.
Questo non significa, ovviamente, rimanere nella stagione del pubblico impiego intoccabile. Al contrario: penso
che le uscite dal lavoro pubblico debbano essere una opzione stabile di funzionamento del sistema, ma non come prepensionamento mascherato, piuttosto come allontanamento di coloro che non contribuiscono a creare quel valore pubblico che l’amministrazione deve proteggere e riprodurre. Più brutalmente, invece che decine di migliaia di prepensionati in una sola soluzione, per l’amministrazione occorrerebbe un’ordinaria possibilità di licenziare chi non produce/lavora, a causa della propria negligenza e irresponsabilità. Cioè un programma di medio periodo per rendere operativa questa soluzione (il licenziamento, che certo è l’extrema ratio) oggi è prevista dall’ordinamento ma percorsa in casi assolutamente rari.
Penso che il futuro prossimo, purtroppo, vedrà le amministrazioni impegnate più nella gestione di questo
complesso e specifico processo di riduzione degli organici che nel rendere effettiva la misurazione delle performance e l’assunzione degli atti conseguenti: premialità per i migliori, ricollocamento e/o formazione per chi non produce abbastanza, licenziamento per quanti si collocano, ripetutamente e colposamente, sotto una soglia accettabile di qualità del lavoro.
Sai bene quanto quest’ultimo cambiamento possa avvenire solo con una ferrea volontà politica, che sblocchi
le resistenze, la disabitudine, la path dependance. Ma la volontà politica è una risorsa limitata, funziona solo su un limitato elenco di priorità; figuriamoci in un periodo breve come l’arco temporale di cui dispone il governo Monti. Se la volontà che Monti e Bondi investono in questa spending review venisse dedicata ad un cambio di passo nel modo ordinario di far funzionare le amministrazioni, anche solo quelle del perimetro statale, sarebbe comunque un risultato di portata storica.
Invece questo taglio mi ricorda più la scelta di CEO di multinazionali che, annunciando qualche migliaio di
licenziamenti, cercano la risalita sul listino azionario. Qualche volta l’ottengono, ma di certo non sono queste le mosse che gli fanno conquistare più mercato.
Ecco, penso che alla fine di questa spending review, se tutto procederà come il decreto dispone, avremo un pubblico impiego un po’ ridotto [2], non credo più bilanciato nella distribuzione tra comparti o aree territoriali,
temo affatto cambiato nella qualità della sua azione (a meno che non si avviino altre politiche, per ora non in vista).
Ecco quindi il motivo per il quale mi sembra si stia scegliendo un bersaglio sbagliato.

Andrea Tardiola

[1] Sul tema sono in campo una banca dati del Dipartimento della funzione pubblica (la più completa), un progetto del Dipartimento del tesoro, una indagine periodica della Corte dei Conti, nonché le analisi derivanti dai conti consuntivi dei comuni. A ciò si aggiunga che, per le “partecipate” che hanno forma societaria, tutte le informazioni sono reperibili presso il registro delle imprese delle Camere di commercio. Ciononostante, il numero esatto delle partecipate, totali e parziali, non è ad oggi certo. Naturalmente a questa incertezza contribuisce il carattere mutevole di questi enti e le ripetute trasformazioni nelle forme di partecipazione delle
istituzioni.

[2] Ma occorre ricordare che il numero di dipendenti pubblici per cittadino in Italia non è affatto sovradimensionato rispetto ai paesi con i quali siano abituati a confrontarci.

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