IL FOGLIO: UN COMMENTO A CALDO SULLE POLEMICHE CHE ACCOMPAGNANO IL VARO DEL DDL FORNERO

CHI SVALUTA PESANTEMENTE IL CONTENUTO DI QUESTA RIFORMA NON CONSIDERA LE SVOLTE IMPORTANTI CHE ESSA PRODUCE IN MATERIA DI DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI E DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

Materiali dai quali è stata tratta – con alcuni tagli per motivi di spazio – un’intervista a cura di Michele Arnese, pubblicata sul quotidiano il Foglio il 28 giugno 2012

Professor Ichino, quali sono i pregi e quali i difetti della riforma Fornero?
Cominciamo con i pregi. C’è un merito di questa riforma basta da solo a compensare tutti i difetti: in materia di licenziamenti si passa da un regime in cui la regola generale è costituita dalla reintegrazione nel posto di lavoro, quella che la teoria generale indica come una property rule, a una liability rule, ovvero alla sanzione indennitaria. Questo elimina una anomalia tutta italiana – la reintegrazione automatica – rispetto al resto d’Europa. Va in questa direzione anche la drastica limitazione dell’indennizzo nel caso di reintegrazione. Certo, restano alcune zone grigie nelle quali non è chiaro quale delle due regole debba essere applicata; ma in molte altre zone invece il passaggio è chiarissimo; comunque il testo è abbastanza univoco nell’indicare che d’ora in poi la reintegrazione costituisce l’eccezione.
Un altro grande merito della riforma, che è stato del tutto sottovalutato, è questo: dopo diciotto anni nei quali si è parlato di riforma degli ammortizzatori sociali senza che nessun governo, né di centrodestra né di centrosinistra, riuscisse a cavare un ragno dal buco, e dopo una fase di confronto con le parti sociali in cui sia gli imprenditori sia i sindacati si sono opposti molto duramente a cambiare le cose, questa riforma è stata fatta: ora abbiamo un’assicurazione generale di livello europeo contro la disoccupazione, applicabile a tutto il lavoro dipendente; e la Cassa integrazione guadagni è stata ricondotta alla sua funzione originaria, ovviamente molto diversa dal trattamento di disoccupazione.

Veniamo ai difetti.
È un testo di molto difficile lettura, un po’ come il “Collegato Lavoro” del 2010. È difficile anche per noi addetti ai lavori, figuriamoci per i milioni di persone a cui la legge è destinata. E naturalmente non è traducibile in inglese; dunque agli occhi degli operatori stranieri conferma il carattere bizantino del nostro ordinamento. Poi, a tratti – per esempio nella norma per il contrasto alla pratica delle “dimissioni in bianco”, che avrebbe potuto essere molto più semplice – emerge nel testo la vecchia cultura giuslavoristica: quella che non esita a complicare la vita a imprenditori e lavoratori in novantanove casi per prevenire un caso di comportamento scorretto; dimenticando che in questo modo si rischia di fare danno anche al centesimo lavoratore, perché le complicazioni costano, e riducono la domanda di lavoro. Non è questo, però, il tratto dominante della legge, come sostengono Sacconi e Brunetta.

È sicuro che la riforma costituisce uno dei fattori che incentiverà gli investimenti esteri in Italia?
Nell’immediato no; anche perché da destra e da sinistra abbiamo fatto tutto il possibile per svalutare le novità positive della riforma. Sulla distanza qualche effetto positivo incomincerà a vedersi. Ma per essere più attrattivi nei confronti degli investimenti esteri abbiamo un bisogno assoluto di semplificazione della nostra legislazione del lavoro. La prossima tappa deve essere il Codice del lavoro semplificato.

Alla fine a quale dei modelli (suo, Boeri, Damiano altri) si può dire che si sia ispirata la riforma Fornero?
Non si è ispirata a nessuno dei progetti che sono stati presentati al Senato o alla Camera in questa legislatura. Il canovaccio su cui si è lavorato all’inizio è stato quello proposto da Raffaele Bonanni; ma poi ci si è scostati anche da quello.

Gli industriali dicono: flessibilità irrigidita in entrata, rigidità non flessibilizzata in uscita. Insomma, è una boiata ma va approvata. Condivide?
Confindustria sbaglia nel sottovalutare la svolta che si compie sulla disciplina dei licenziamenti. D’ora in poi il cosiddetto “aggiustamento fine” degli organici, che finora sopra i 15 dipendenti è stato quasi del tutto impossibile, diventa possibile. Anche se costoso: da 12 a 24 mensilità dell’ultima retribuzione. Entro questo minimo e massimo si collocheranno anche, molto più facilmente che in passato, le risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro e le transazioni sui licenziamenti. Mentre le norme di contrasto al lavoro precario riguarderanno di fatto un milione o un milione e mezzo di posizioni, quella sui licenziamenti riguarda cinque milioni e mezzo di dipendenti di aziende private. Poi c’è la liberalizzazione del primo contratto a termine, fino a un anno di durata, che ci allinea rispetto alla direttiva europea del ‘99. Mi sembra che il giudizio complessivamente negativo di Confindustria sia stato un po’ troppo affrettato.

Il ministro oggi ha detto che è disposta ad accettare in futuro cambiamenti? Quali sono necessari secondo lei?
Sul piano tecnico-giuridico, ci sono alcuni dettagli da sistemare. Ma mi parrebbe sbagliato rimettere subito in discussione l’equilibrio politico che è stato faticosamente trovato, tra flessibilizzazione della disciplina dei licenziamenti e contrasto al precariato. Sperimentiamo la riforma, misuriamone con precisione gli effetti, come è previsto nei primi commi dell’articolo 1. Poi potremo rimetterci le mani a ragion veduta. E a quel punto sarà anche più facile affrontare pragmaticamente la questione della semplificazione della disciplina dei licenziamenti: il tabù dell’articolo 18 ormai è stato archiviato.

Il prof Tiraboschi ha calcolato i costi astronomici per le imprese che produrrà la riforma e ha scorticato la riforma.
Non concordo con le sue valutazioni.

Secondo lei, è strumentale la polemica sugli esodati? Ossia: si enfatizza la questione per criticare indirettamente la riforma delle pensioni?
Incominciamo col dire che gli “esodati” veri e propri, cioè i lavoratori per i quali prima della riforma delle pensioni è stato stipulato un accordo per l’esodo incentivato in corrispondenza con il futuro pensionamento secondo le vecchie regole, verranno tutti salvaguardati. Quanto a tutti gli altri anziani che sono senza pensione e senza lavoro, chi chiede che vengano pensionati anche loro con le vecchie regole chiede in sostanza lo svuotamento della riforma. Per questi occorre invece, in coerenza con la riforma, per un verso incentivare il rientro nel tessuto produttivo con sgravi contributivi e fiscali, per altro verso istituire un trattamento di disoccupazione, condizionato però alla disponibilità a un lavoro compatibile con le loro capacità.

Pensa anche lei che i vertici dell’Inps si dovrebbero dimettere dopo il caos sui numeri degli esodati?
In realtà i dati forniti dall’Inps non erano affatto in contrasto con quelli sui quali aveva lavorato il Governo: semplicemente, si riferivano a categorie diverse di persone, aggiungendo agli “esodati” veri e propri altre centinaia di migliaia di situazioni sostanzialmente diverse. Si è fatto un gran polverone per nulla.

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