LA FUGA DEI MIGLIORI TRA I NOSTRI GIOVANI, CHE VANNO A LAVORARE ALL’ESTERO, NON È COMPENSATA DA UN AFFLUSSO PARAGONABILE DI CERVELLI STRANIERI
Intervista a cura di Riccardo Bianchi, per il Venerdì di Repubblica, 22 giugno 2012
Perché l’Italia attira le “braccia” ma non i cervelli stranieri?
Perché, per un verso, le nuove generazioni degli italiani tendono a disertare i lavori che richiedono attività manuale, anche per grave difetto di informazione su quello che il mercato del lavoro offre loro. Per altro verso il nostro mercato del lavoro, tipicamente gerontocratico (si entra per anzianità o per graduatoria, non per merito effettivo), è molto più vischioso di quanto lo siano quelli degli altri Paesi maggiori, soprattutto oltre Manica e oltre Atlantico, dove oltretutto le strutture pubbliche e private sanno individuare e valorizzare meglio le alte capacità professionali. Così i nostri giovani più bravi hanno più facilità a trovare lavoro in quei Paesi che da noi e ne traggono maggiore soddisfazione economica.
Cosa bisognerebbe cambiare per diventare attrattivi anche nei confronti dei professionisti stranieri?
Nell’università, e più in generale nel settore pubblico, occorrerebbe un cambiamento profondo di struttura e di incentivi. Nel settore privato, una maggiore apertura del sistema anche agli investimenti stranieri: per questo aspetto siamo penultimi in Europa, con un gap molto grave che ci separa dai Paesi che occupano una posizione mediana nella graduatoria per attrattività.
Che conseguenze può avere nel lungo periodo sul paese e sulla sua competitività questa situazione?
Una marginalizzazione sempre maggiore dell’Italia rispetto ai grandi flussi di capitali, di piani industriali, di lavoratori della conoscenza, e anche, ovviamente, di beni e servizi.
gg