NON C’È DIFETTO DELL’OPERATO DELL’ANVUR CHE POSSA PRODURRE DANNO MAGGIORE ESSENDO RESO VISIBILE, PIUTTOSTO CHE RESTANDO OCCULTO
Articolo di Andrea e Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 14 giugno 2012
Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza»: questo prevede l’articolo 19 del Codice della Privacy. E l’articolo 4, lettera h), della legge n.15/2009 impone alle amministrazioni di «assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalla Pubblica amministrazione tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna Pubblica amministrazione, anche attraverso: 1) la disponibilità immediata mediante la rete Internet di tutti i dati sui quali si basano le valutazioni, affinché possano essere oggetto di autonoma analisi ed elaborazione; 2) il confronto periodico tra valutazioni operate dall’interno delle amministrazioni e valutazioni operate dall’esterno, ad opera delle associazioni di consumatori o utenti, dei centri di ricerca e di ogni altro osservatore qualificato».
Perché le stesse regole non dovrebbero valere anche per l’attività di ricerca dei professori universitari? Finalmente questa attività è valutata dall’Anvur (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca) che sta facendo un ottimo lavoro. Ci sembra naturale che anche agli oggetti di questa valutazione si applichi il principio della trasparenza totale. Tra gli universitari prevale invece la tesi secondo cui i voti dati dall’Anvur alle singole pubblicazioni non devono essere divulgati; si adducono per questo motivi che a noi sembrano deboli e non tali da sovrastare i benefici della trasparenza totale.
Il primo argomento contrario è quello solito: la tutela della privacy. Ma, come abbiamo visto, è proprio la legge a dire che, mentre il diritto alla riservatezza protegge la vita privata delle persone, non c’è invece nulla di «privato» nella prestazione di un dipendente pubblico e nella sua valutazione.
Un secondo e più valido argomento contrario è che nelle singole valutazioni potrebbero verificarsi inevitabili errori in più o in meno, che si compenserebbero a vicenda nell’aggregazione, e che invece danneggerebbero i singoli autori se fossero resi visibili, dando luogo a ricorsi e a critiche ingiuste all’operato dell’Anvur. Poiché, però, i singoli ricercatori riceveranno ugualmente in forma privata le valutazioni che li riguardano, le critiche ci saranno, purtroppo, lo stesso. La trasparenza totale, se mai, porrà in risalto la bontà complessiva del lavoro che l’Anvur sta svolgendo. Ciò che si chiede, del resto è solo che venga reso noto in quale delle quattro classi di merito previste sarà posta ogni pubblicazione: gli errori non possono che essere marginali. Si afferma inoltre che l’Anvur non valuta l’intera produzione di ciascun ricercatore, ma soltanto le tre pubblicazioni da lui/lei scelte per il periodo 2004-2010. Alcuni ricercatori lamentano di non aver potuto scegliere liberamente le proprie tre opere perché costretti da giochi di squadra a consentire l’uso di loro prodotti ad altri co-autori magari meno dotati, al fine di massimizzare la valutazione della struttura di appartenenza, anche a scapito dei singoli membri. Ma se di ogni pubblicazione verrà reso noto il voto conseguito e l’elenco tutti gli autori, i punteggi eccellenti saranno imputabili a ciascuno di essi e non soltanto a quello che ha indicato l’opera fra le proprie tre migliori. Di ogni ricercatore avrà senso usare la valutazione media più favorevole tra quella delle opere da lui/lei scelte e quella di tutte le opere di cui compare come autore.
Sulla «missione» affidata dalla legge all’Anvur, ossia valutare ciascun dipartimento e non i singoli membri, si basa invece l’argomento addotto dal suo presidente, professor Fantoni, sul Corriere del 30 maggio: se questa è la missione perché fare diversamente? Una risposta è che pubblicare quelle valutazioni consentirebbe il confronto tra diversi criteri di aggregazione, rafforzando la credibilità dell’Anvur. Inoltre, valutare una struttura non significa valutare solo il suo risultato aggregato. Due dipartimenti potrebbero entrambi ottenere un rating di valore medio, ma il primo con un 50% di prodotti eccellenti e i rimanenti pessimi o del tutto mancanti; viceversa, la mediocrità potrebbe prevalere nel secondo dipartimento. Serve l’intera distribuzione delle valutazioni, non solo la media, se non vogliamo fare l’errore di Trilussa!
Informazioni disaggregate servono affinché il difficile lavoro dell’Anvur possa dare tutti i suoi effetti positivi. In primo luogo, al servizio degli studenti, che devono poter scegliere in modo informato con chi e dove studiare, e delle imprese che hanno bisogno di sapere chi svolge la ricerca più avanzata. E poi affinché emerga nei dipartimenti un dibattito costruttivo sulle strategie per migliorare, anche mediante modifiche delle afferenze a ciascuna struttura. D’altra parte, non c’è difetto dell’operato dell’Anvur che possa produrre danno maggiore essendo reso visibile, piuttosto che restando occulto. Ogni eccezione alla regola della trasparenza deve essere sostenuta da motivi validi, che nel caso della ricerca universitaria non sembrano esserci. Chi non accetta questo principio è libero di sottrarvisi; purché non pretenda di essere finanziata con denaro pubblico.
jj