PARIFICAZIONE DELL’ETA’ PENSIONABILE: E’ UN ATTO DOVUTO. CON I RISPARMI DETASSARE IL LAVORO FEMMINILE

LE RISORSE PUBBLICHE CHE SI LIBERANO CON LA PARIFICAZIONE GRADUALE DELL’ETA’ PENSIONABILE DEVONO ESSERE DESTINATE A UNA DETASSAZIONE SELETTIVA DEI REDDITI DI LAVORO DELLE DONNE, IN FUNZIONE DEL RAGGIUNGIMENTO DELL’OBIETTIVO DI LISBONA DI AUMENTO DEL TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE
Intervista a cura di Claudio Fusi pubblicata su Il Messaggero il 4 marzo 2009

ROMA Per Piero Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, la decisione del governo di prevedere un aumento graduale dell’età pensionabile delle donne nella Pubblica amministrazione a partire dal 2010 per arrivare a 65 anni nel 2018, inviato come bozza alla Unione Europea, «è un atto dovuto» dopo la condanna subita dall’Italia in sede di parificazione dell’età pensionabile tra uomini e donne.

Dunque l’Italia non poteva sottrarsi, senatore. E la sua valutazione sul merito della bozza, professore, qual è?
«Siamo obbligati sul piano comunitario, non c’erano margini di interventi diversi o per un non intervento. Caso mai si potrà e dovrà ragionare sulla graduazione, sui tempi della parificazione».
Questo, diciamo, per l’aspetto di adempimento alle norme comunitarie e relativi vincoli. Ma il suo giudizio politico qual è?
«Con la senatrice Emma Bonino avevo scritto già nell’ottobre scorso una lettera aperta ai ministri Brunetta e Sacconi proprio per affrontare questa questione in maniera organica. Un intervento finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo fissato a Lisbona, dell’aumento del 10 per cento del tasso di occupazione femminile; cioè all’adempimento di un obbligo comunitario di eliminazione di una situazione oggettivamente discriminatoria».
E adesso il governo, diciamo così, si avvia a mettersi in regola con le norme comunitarie…
«Infatti».
E basta così?
«No, non basta. Io penso questo: che tutto il risparmio di risorse pubbliche ottenuto con la parificazione dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini deve essere destinato a una detassazione selettiva del reddito di lavoro femminile, per promuovere l’aumento dell’occupazione femminile».
Ma questo non produrrebbe il rischio di un tipo nuovo di discriminazione?
«No. Un intervento di questo genere non sarebbe qualificabile come discriminatorio, perchè sarebbe funzionale al raggiungimento dell’obiettivo di Lisbona, cioè al superamento di una situazione di discriminazione. Tecnicamente lo si dovrebbe qualificare come una ‘azione positiva’».
Insomma le risorse così reperite devono servire ad incrementare l’occupazione femminile: giusto?
«Certo. Più precisamente, i risparmi che si otterranno andranno destinati interamente a un aumento della detrazione sull’Irpef gravante sui redditi di lavoro femminile, in modo da ottenere una sensibile riduzione dell’imposta sugli stipendi più bassi, quelli fino a 1000-1200 euro al mese.
Sarebbe efficace, questa detassazione?
La misura sarebbe efficace, perché è dimostrato che la domanda e l’offerta di lavoro femminile sono più elastiche rispetto al lavoro maschile, cioè variano fortemente in relazione, rispettivamente, alla variazione del costo e del reddito effettivo».

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