LO SVILUPPO DEL SUD DIPENDE DALLA SUA CAPACITÀ DI DIVENTARE PIÙ ATTRATTIVO PER GLI INVESTIMENTI, SOPRATTUTTO QUELLI PROVENIENTI DALL’ESTERO
Intervista a cura di Antonio Tondo pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno il 25 maggio 2012
Il senatore Pietro Ichino, studioso dei temi del lavoro, ieri a Bari ha partecipato a un convegno della Confederazione delle associazioni artigiane di Puglia e Basilicata e dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Di fronte a una platea di 700 piccoli imprenditori, esperti giuridici ed esponenti del mondo finanziario, Ichino ha espresso alcune critiche sulla riforma del ministro Fornero, ma ne ha anche sottolineato gli aspetti positivi.
Lei sostiene che in Italia ci sono giacimenti di occupazione possibile inutilizzati, cioè posti di lavoro che rimangono scoperti per mancanza di qualificazione. Succede anche nel Mezzogiorno?
Se parliamo degli skill shortages, cioè delle domande di manodopera permanentemente insoddisfatte per difetto di disponibilità corrispondenti, non soltanto ce ne sono anche nel Mezzogiorno; ma nel Mezzogiorno ce ne sono, in proporzione, più che al Nord.
Secondo lei Regioni del Sud sono in grado di gestire servizi avanzati per qualificare o riqualificare persone che perdono il posto di lavoro oppure devono entrare nel mercato del lavoro?
Le Regioni meridionali sono ancor meno attrezzate per lo svolgimento di questa funzione di quanto siano quelle centro-settentrionali. Dal Lazio in giù non ci sono osservatori regionali capaci di individuare e censire con precisione gli skill shortages. E i servizi di formazione professionale funzionano malissimo, perché rispondono prioritariamente agli interessi di chi vi è addetto e non a quelli dei lavoratori e delle imprese.
Regioni, enti locali e imprese annaspano. Con scarse informazioni agiscono solo in modo burocratico. Cosa servirebbe al Sud per realizzare un mercato del lavoro efficiente?
Per incominciare, occorrerebbe rilevare sistematicamente il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, a sei mesi e tre anni dal termine dell’intervento formativo. Quando la Regione sarà attrezzata per questa rilevazione, i dirigenti del settore dovranno essere ingaggiati con contestuale fissazione di obiettivi seri di miglioramento del tasso di coerenza; e, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, il dirigente va rimosso indipendentemente da qualsiasi imputazione di negligenza o incompetenza. Questo prevede l’articolo 21 del testo unico delle norme per l’impiego pubblico, ma è una norma che in Italia non si applica mai. Naturalmente, occorre corrispondentemente che il dirigente si riappropri delle prerogativa manageriali, e le eserciti effettivamente. Il rischio di perdere il posto costituirà un buon incentivo affinché questo avvenga realmente.
Nel Mezzogiorno, chi riesce ad affermare la propria impresa è un eroe. Gli investimenti esteri latitano. A volte oscilliamo tra demagogia e insolvenza; burocrazia e criminalità finiscono per allontanare anche le buone intenzioni. Cosa dovremmo fare per superare le difficoltà?
Occorrerebbe fare molte cose. In primo luogo, occorrerebbe che le Regioni imparassero il non facile mestiere di andare per il mondo alla ricerca di buoni imprenditori e buoni piani industriali, per ingaggiare i migliori tra di essi. Sì, ingaggiarli: significa rovesciare il paradigma secondo il quale siamo abituati a guardare al mercato del lavoro come luogo dove sono soltanto gli imprenditori a ingaggiare i lavoratori; invece possono anche essere i lavoratori di una città, di una Regione, a ingaggiare l’imprenditore che sappia meglio valorizzare il loro lavoro (Hire your best employer!). Tutto questo presuppone che, insieme al Governo regionale, ci sia anche un sindacato capace di valutare attentamente i piani industriali più innovativi, e, quando la valutazione sia positiva, capace di guidare i lavoratori nella negoziazione a 360 gradi dei termini di una scommessa comune con l’imprenditore. Negoziare a 360 gradi può significare anche negoziare una forte variabilità delle retribuzioni in relazione al grado di raggiungimento di obiettivi predeterminati di produttività e/o di redditività della nuova impresa. Se non ci credono i lavoratori, perché dovrebbe crederci un imprenditore che viene da lontano?
L’amministrazione del Mezzogiorno è più complicata del Nord. Se quella dello Stato, come lei ricorda, produce norme così complicate da essere intraducibili in inglese, la burocrazia meridionale è storicamente ancora più oppressiva. Come si può superare questa barriera?
Il giorno in cui le Regioni incominciassero a valutare in modo rigoroso la capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati non soltanto dei propri dirigenti, ma anche delle proprie giunte e dei propri Assessori, probabilmente si attiverebbero gli incentivi giusti per una produzione normativa regionale meno farraginosa, più adatta agli scopi. Per questo, però, occorrerebbe che i politici stessi impostassero in modo molto diverso dal passato le proprie campagne elettorali, presentandosi agli elettori con obiettivi precisi, specifici, misurabili; e che gli elettori rifiutassero il voto a chi si presenta soltanto con promesse generiche.
Come giudica la riforma del mercato del lavoro, proposta dal ministro Fornero. E cosa dovrebbero fare le Regioni del Sud per modernizzare la gestione dei servizi delegati alla loro competenza?
Nonostante i suoi difetti, ampiamente messi in evidenza da tutti i critici, da destra e da sinistra, a me sembra che questa legge costituisca comunque un primo passo importante nella direzione giusta, anche se il passo avrebbe potuto essere più cospicuo e più incisivo. Dico questo in riferimento a tutti e tre i pilastri della riforma: le norme volte al riassorbimento dei precariato cattivo, la nuova disciplina dei licenziamenti e l’istituzione di un sistema universale di sostegno del reddito dei lavoratori che perdono il posto. Osservo, a questo proposito, che per tutti e tre questi aspetti la legge costituisce una novità rilevantissima rispetto a tutta la legislazione degli ultimi quarant’anni. Certo, resta ancora moltissimo da fare sulla via dell’allineamento della nostra legislazione del lavoro con il resto d’Europa e, soprattutto, sulla via della semplificazione della legislazione stessa. Per quest’ultimo aspetto siamo all’anno zero; e invece questo è un aspetto essenziale per l’attrattività del nostro Paese nei confronti degli investitori esteri.
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