DIECI BUONI MOTIVI PER VOLERE UNA LEGGE SULLA TRASPARENZA DELLE AMMINISTRAZIONI

IL PRINCIPIO DELLA FULL DISCLOSURE OVVERO PIENA E ILLIMITATA ACCESSIBILITÀ DEI DOCUMENTI E DELLE INFORMAZIONI PRESSO TUTTI GLI ENTI PUBBLICI È GIÀ LEGGE IN SVEZIA, REGNO UNITO E USA, DOVE I FREEDOM OF INFORMATION ACTS DISPONGONO UNA DISCIPLINA ORGANICA E UN APPARATO SANZIONATORIO EFFICACE

Documento presentato da un gruppo di studiosi e giornalisti a Roma il 14 maggio 2012 – Per ulteriori notizie v. il sito dell’iniziativa – Segue una mia precisazione circa la normativa oggi già vigente nel nostro ordinamento su questa materia

I DIECI MOTIVI

1.Perché è uno strumento essenziale per la democrazia
L’informazione è stata definita “l’ossigeno della democrazia”: senza di essa, la democrazia muore. Avere accesso ai documenti della pubblica amministrazione significa avere migliori strumenti per capire, giudicare e partecipare alla vita pubblica. Significa poterne saperne di più su come le persone che abbiamo eletto hanno speso i nostri soldi e utilizzato il potere che gli abbiamo dato. Significa quindi poter votare con migliore cognizione di causa.

2.Perché l’informazione detenuta dalla pubblica amministrazione è nostra
La pubblica amministrazione la detiene per conto e a spese dei cittadini italiani. Negli Stati Uniti, il principio base della legge sul diritto all’informazione (il Freedom of Information Act, FOIA) è che “l’informazione detenuta dall’amministrazione pubblica appartiene al popolo americano”: non sono quindi i cittadini a dover motivare le proprie richieste di informazioni, bensì il governo a dover motivare l’eventuale diniego, fornendo prove della necessità di mantenere segrete le informazioni. Bisogna affermare anche in Italia questo principio.

3.Perché aiuta a combattere la corruzione
Secondo Transparency International (una ong che pubblica un rapporto annuale sul livello di corruzione nei diversi paesi del mondo), il diritto di accesso all’informazione detenuta dalla pubblica amministrazione “è forse l’arma più importante per combattere contro la corruzione”.

4.Perché fa risparmiare
Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa all’Italia circa 60 miliardi all’anno. Il diritto all’informazione aiuta a combattere la corruzione e quindi fa risparmiare. Negli Stati Uniti, dove la legge sul diritto all’informazione è utilizzatissima dai cittadini (nel 2011 sono state presentate più di 600.000 richieste di accesso a documenti del governo federale), il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. A noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno. Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge.

5.Perché migliora l’efficienza della pubblica amministrazione
Il diritto all’informazione incoraggia la pubblica amministrazione a gestire e conservare meglio i propri archivi e le proprie banche dati. Una buona gestione dell’informazione è uno dei fattori chiave per rendere più efficiente la macchina amministrativa.

6.Perché aumentare la trasparenza della pubblica amministrazione aiuta a ricostruire un rapporto di fiducia tra amministratori e amministrati
Scandali e corruzione hanno finito per gettare un generale discredito sugli amministratori pubblici, che colpisce anche gli onesti e l’insieme della pubblica amministrazione. Chi amministra la cosa pubblica potrà ricostruire un rapporto di fiducia con i cittadini solo operando nella massima trasparenza. Come spiega il consiglio d’Europa, il diritto all’informazione “contribuisce ad affermare la legittimità delle amministrazioni come pubblici servizi e a rafforzare la fiducia del pubblico nelle autorità pubbliche” (Raccomandazione 2/2002). Gli amministratori pubblici onesti hanno dunque tutto da guadagnare da una legge sul diritto all’informazione.

7.Perché le maggiori organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani raccomandano di adottarla
Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha di recente chiarito che l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 – che afferma il diritto a “cercare” informazioni – include “il diritto di accesso all’informazione in possesso della pubblica amministrazione”. I relatori speciali sul diritto all’informazione di ONU, OCSE e OSA hanno definito il diritto d’accesso alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione come “un fondamentale diritto umano”. Il Consiglio d’Europa ha varato due Raccomandazioni, una nel 1981 e una, più articolata e incisiva, nel 2002, che sollecitano gli Stati europei ad adottare una legge sul diritto all’informazione detenuta dalla pubblica amministrazione, basata sul principio della massima apertura possibile. Anche l’Organizzazione degli Stati Americani e l’Unione africana considerano fondamentale il diritto all’informazione detenuta dalla pubblica amministrazione e incoraggiano gli stati membri ad adottare leggi molto aperte in materia.

8.Perché accedere alle informazioni mediante una legge è più democratico che farlo tramite le fughe di notizie e tutela meglio i cittadini
L’accesso all’informazione non deve essere riservato a chi ha un “accesso privilegiato” nella pubblica amministrazione: tutti devono avere il diritto a cercare informazioni e questo può garantirlo solo una buona legge. Non tutte le informazioni possono diventare subito di pubblico dominio: è giusto che determinate informazioni siano escluse dall’accesso, se dalla loro divulgazione può derivare un danno – ad esempio – alla sicurezza dei cittadini o alla loro vita privata (danno superiore all’interesse pubblico alla conoscenza). Una buona legge può trovare il giusto equilibrio tra interesse pubblico alla conoscenza e la necessità di tutelare interessi individuali e collettivi quali la difesa del paese, la lotta alla criminalità, la privacy, il segreto industriale e così via.

9.Perché la normativa italiana proclama il principio di trasparenza, ma non lo traduce in pratica
In Italia esiste una legge sul diritto d’accesso ai documenti della pubblica amministrazione (l. 241/1990), ma è una legge molto restrittiva, profondamente diversa dalle leggi in materia in vigore nella maggior parte dei paesi democratici. La legge italiana permette l’accesso solo se i documenti che si richiedono sono necessari all’interessato per presentare un ricorso, per un’azione giudiziaria o in casi analoghi. Nei paesi che hanno una legge sul diritto all’informazione (ormai sono più di ottanta, nei cinque continenti: Canada, USA, Messico, Brasile, Sud Africa, Nigeria, India, Giappone, Giordania, Australia, Regno Unito, Germania, ecc.) non si deve neppure indicare per quale motivo si vogliano vedere dei documenti. Il Consiglio d’Europa raccomanda esplicitamente: “Chi fa richiesta per un documento ufficiale non deve essere obbligato a motivare la richiesta” (Rec. 2/2002). Solo a queste condizioni i cittadini possono sentire liberi di cercare informazioni anche su argomenti scomodi

10.Perché l’informazione è potere
Renderla accessibile a tutti aiuta a costruire una società più democratica e giusta.

Elena Aga Rossi
Vittorio Alvino
Gregorio Arena
Giulia Barrera
Romano Bartoloni
Ernesto Belisario
Amelia Beltramini
Giovanni Boccia Artieri
Sandra Bonsanti
Ennio Caretto
Paola Carucci
Roberto Casalini
Gegia Celotti
Enzo Cheli
Guido Columba
Marco Contini
Paolo Costa
Emilia De Biasi
Francesco De Vito
Arturo Di Corinto
Andrea Fama
Giuseppe Fiengo
Raffaele Fiengo
Giancarlo Ghirra
Angelo Giacobelli
Giuseppe Giulietti
Linda Giuva
Mariella Guercio
Pietro Ichino
Claudia Lopedote
Enzo Marzo
Elio Matarazzo
Andrea Menapace
Roberto Natale
Ernesto Navazio
Valerio Onida
Piero Pantucci
Stefano Passigli
Mario Pianta
Francesca Piazza
Tommaso Piffer
Alberto Pinna
Guido Possa
Pino Rea
Andrea Riscassi
Vittorio Roidi
Guido Romeo
Renzo Santelli
Guido Scorza
Roberto Seghetti
Paolo Serventi Longhi
Alberto Spampinato
Corrado Stajano
Giancarlo Tartaglia
Mario Tedeschini Lalli
Giovanni Valentini
Giovanni Vetritto
Vincenzo Vita

UNA PRECISAZIONE SULLA NORMATIVA VIGENTE
Riguardo al contenuto del punto 9 del documento, va ricordata anche la lettera h) inserita nel secondo comma dell’articolo 4 della legge n. 15/2009 (la cosiddetta “Legge Brunetta”) per effetto di un mio emendamento approvato dal Senato, che recita testualmente:

“[…] h) assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalla pubblica amministrazione tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna pubblica amministrazione, anche attraverso:
1) la disponibilità immediata mediante la rete Internet di tutti i dati sui quali si basano le valutazioni, affinché possano essere oggetto di autonoma analisi ed elaborazione;
2) il confronto periodico tra valutazioni operate dall’interno delle amministrazioni e valutazioni operate dall’esterno, ad opera delle associazioni di consumatori o utenti, dei centri di ricerca e di ogni altro osservatore qualificato;
3) l’adozione da parte delle pubbliche amministrazioni … di un programma per la trasparenza, di durata triennale, da rendere pubblico anche attraverso i siti webv delle pubbliche amministrazioni, definito in conformità agli obiettivi di cui al comma 1.”

Questa norma contenuta nella legge-delega si è tradotta nell’articolo 11 del decreto legislativo delegato (27 ottobre 2009 n. 150), che recita testualmente:

“11. Trasparenza. La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione.”

Lo stesso articolo 11 prosegue poi specificando come deve essere impostato e attuato il programma per la trasparenza.
Infine, ancora per effetto di un mio emendamento, nella legge n. 183/2010 (c.d. “Collegato lavoro”) è stato inserita una norma che a sua volta dispone l’inserimento del seguente comma 3-bis nell’articolo 19 del d.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice della Privacy):

“3-bis. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza. Non sono invece ostensibili, se non nei casi previsti dalla legge, le notizie concernenti la natura delle infermità e degli impedimenti personali o familiari che causino l’astensione dal lavoro, nonché le componenti della valutazione o le notizie concernenti il rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e l’amministrazione, idonee a rivelare taluna delle informazioni di cui all’articolo 4, comma 1, lette4ra d).”

Mancano, tuttavia gli incentivi giusti affinché il principio della trasparenza totale venga applicato e le sanzioni per le amministrazioni e i loro addetti che non lo applicano. Quella che avrebbe dovuto essere la chiave di volta della riforma, ossia la Civit (Commissione Indipendente per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza delle amministrazioni), ha però omesso totalmente di fare quanto era in suo potere per promuovere la conoscenza e l’applicazione di queste norme, e in molte occasioni ha operato essa stessa in modo opaco per quel che riguarda l’amministrazione delle proprie risorse.

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