QUAL E’ L’INTERESSE COMUNE DI LAVORATORI E IMPRENDITORI.

Intervista a Pietro Ichino
pubblicata su La Stampa il 7 marzo 2008

Tra lavoratori e imprenditori ci può essere conflitto sulla spartizione del frutto del loro comune lavoro; ma questo conflitto deve risolverlo, in piena autonomia, il sistema delle relazioni sindacali. Alla politica spetta invece di realizzare l’interesse di tutti a che la torta da spartire sia più grande possibile; e fare che in questo grande “gioco a somma positiva” nessuno resti escluso.

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Professor Ichino, Berlusconi dice di voler superare lo Statuto dei Lavoratori. Qual è la posizione del Pd?

«Riformare il nostro diritto del lavoro è indispensabile, sia perché è in gran parte vecchio di mezzo secolo, sia perché oggi si applica soltanto a metà dei lavoratori. Il punto è come lo si riforma».

Quindi è d’accordo?

«Ma non sappiamo neppure che cosa propone Berlusconi! Una riforma seria e complessa non può essere improvvisata da un giorno all’altro, né tanto meno affidata a battute provocatorie, precedute da segnali diametralmente opposti, come sta accadendo nel Pdl».

A che cosa si riferisce?
«Solo quindici giorni fa Giulio Tremonti ha dichiarato: “La questione dell’articolo 18 la lasciamo volentieri a Veltroni”».

Dunque il PD che cosa propone?

«Innanzitutto una scelta di metodo: assumere al tempo stesso la rappresentanza del meglio dell’imprenditoria italiana e dei lavoratori, per realizzare un’intesa solida e realistica sulle scelte coraggiose che occorre compiere».

Calearo e Colaninno, ma anche Nerozzi e la precaria del call center. Ma non le sembra sia come mettere insieme il diavolo e l’acqua santa?

«Tra lavoratori e imprenditori ci può essere conflitto sulla spartizione del frutto del loro comune lavoro; ma questo conflitto deve risolverlo, in piena autonomia, il sistema delle relazioni sindacali. Alla politica spetta invece di realizzare l’interesse di tutti a che la torta da spartire sia più grande possibile; e fare che in questo grande “gioco a somma positiva” nessuno resti escluso».

Dunque siamo ancora alla concertazione?

«Il PD proprio in questi giorni sta realizzando qualche cosa di nuovo e diverso: una posizione politica comune a imprenditori e lavoratori sulle scelte necessarie per sbloccare il Paese. Poi verrà anche il momento del confronto con i vari gruppi di interessi organizzati; ma la ricerca del consenso di tutti non può paralizzare le decisioni urgenti per il rilancio dell’economia nazionale».

Veniamo al concreto. Cosa farà il PD sul fronte del lavoro?
«Nel settore pubblico, correggerà l’attuale situazione diffusa di inamovibilità di fatto, che genera posizioni di vera e propria rendita».

Come?
«Introducendo la cultura della misurazione e della valutazione, indispensabile per poter premiare le strutture che lavorano di più e meglio; e costringere a riallinearsi quelle che non raggiungono gli obiettivi fissati, a cominciare dai loro dirigenti».

E nel settore privato?

«Innanzitutto alcune misure incisive per portare il tasso di occupazione femminile a livelli europei: per questo, occorre non solo moltiplicare i servizi alle famiglie, ma agire anche sulla leva fiscale.

Anche il Pdl sostiene le stesse cose.
«Su questo punto, veramente, il programma di Berlusconi va proprio in direzione opposta, col prevedere il cumulo dei redditi dei coniugi e quindi la tassazione del secondo reddito con l’aliquota più alta. Poi, occorre superare con decisione il dualismo fra protetti e non protetti».

E si torna alla questione dello Statuto dei lavoratori.

«È tutto il nostro diritto del lavoro che va ripensato. E non solo per superare l’attuale indecente regime di apartheid fra protetti e non protetti. Occorre farlo anche perché ci sono norme scritte quarant’anni fa, prima che arrivassero i computer e Internet».

Solo aggiornamento alle nuove tecnologie?

«Non solo questo. Ma le cose vanno fatte bene, senza gettare via il bambino con l’acqua sporca».

Qual è il bambino e quale l’acqua sporca?

«Il modello indicato dal programma del PD è quello “della migliore flexicurity europea”. Che significa coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive, con il massimo possibile di sicurezza e benessere dei lavoratori».

Ma sulla riforma del diritto del lavoro, fra PD e PdL, convergete o divergete?
«Per rispondere occorrerebbe prima capire su che cosa convergono Tremonti e Berlusconi, oppure Alemanno e Sacconi, che per ora dicono cose tra loro opposte».

Lei a cosa sta lavorando?

«A un contratto a tempo indeterminato per tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente, tranne ovviamente gli stagionali o gli occasionali, in modo da garantire a tutti una vera eguaglianza di opportunità. Ma con un sistema di protezione in parte nuovo: è qui che si deve realizzare la coniugazione di flessibilità per l’impresa e vera sicurezza per il lavoratore».

Spieghi come; e dica che cosa vuole fare dell’articolo 18.
«Dopo un periodo di prova di sei mesi, l’articolo 18 si applica per i licenziamenti disciplinari e contro quelli per motivo illecito, di discriminazione o di rappresaglia. Ma il controllo giudiziale deve essere limitato a questo. Se invece il motivo del licenziamento è economico od organizzativo, la protezione del lavoratore è costituita da un congruo indennizzo commisurato all’anzianità e da un’assicurazione contro la disoccupazione di livello scandinavo».

Da sinistra le obiettano che lo Stato non ha i soldi per questo “lusso” nordico.
«L’idea è di attivare questa assicurazione con un contributo interamente a carico dell’azienda, secondo il criterio bonus/malus: a ogni licenziamento, l’imprenditore meno capace di programmare la gestione del personale vede aumentare i costi aziendali.».

In questo modo verrebbe escluso il controllo del giudice sui licenziamenti economico-organizzativi individuali e collettivi?
«In questo modo è il costo del licenziamento a costituire il filtro delle scelte imprenditoriali. Un filtro molto migliore di quanto non possa essere il controllo giudiziale. Sia perché è un filtro che può essere modulato in relazione alle diverse esigenze e situazioni. Sia perché l’aggiustamento strutturale non può attendere una verifica della durata di sei, otto o persino dieci anni».

Da sinistra obiettano che, in questo modo, tutti i nuovi rapporti di lavoro saranno precari.
«Sbagliano di grosso: sarebbe come dire che tutti i lavoratori del Centro e Nord-Europa, dove si applicano tecniche di protezione diverse dall’articolo 18, sono precari».

Dunque, flexicurity contro precariato?
«Sì, se si vuole superare la giungla attuale dei contratti precari, che scarica su metà dei lavoratori tutto il peso della flessibilità di cui il sistema ha vitale bisogno, occorre che ci collochiamo in questo ordine di idee. Sulle soluzioni tecniche, poi, il discorso è ovviamente apertissimo.».

Lei pensa che su una scelta di questo genere il sindacato potrebbe seguirvi?
«Se il sindacato avrà di fronte un governo che garantirà l’equità e il rigore, sarà più facile ottenerne il consenso. Già con le candidature elettorali il PD indica la via di una discussione serena, pragmatica e senza “fuochi di sbarramento” preventivi, né da una parte né dall’altra».

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