OCCORRE CORREGGERE LA NORMA DEL 2010 CHE HA COLPITO INDISCRIMINATAMENTE TUTTI I LAVORATORI CUI È TOCCATO IN SORTE DI MATURARE PERIODI DI CONTRIBUZIONE PRESSO GESTIONI DIVERSE, RENDENDO LA RICONGIUNZIONE ASSAI COSTOSA ANCHE QUANDO NON VE N’È ALCUNA RAGIONE
Parere espresso su mia richiesta da Andrea Fortunat, avvocato milanese specialista di previdenza, il 27 aprile 2012 su di una questione sulla quale il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha espresso nel febbraio scorso un’opinione in parte diversa
Caro Pietro,
sulla questione che mi sottoponi, la mia opinione – in parziale contrasto con l’opinone espressa dal ministro Fornero nel suo articolo sul Corriere della Sera del 15 febbraio scorso – è nel senso che, nelle scelte compiute dal ministro del Lavoro precedente con il decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge 30 luglio 2010 n. 122, assai più che le ragioni di equità tra le categorie hanno pesato le esigenze di contenimento della spesa previdenziale. òòò
L’opinione comune – ammessa più o meno apertamente anche nel parere del Governo pro tempore sulla mozione presentata dall’On. Giuliano Cazzola n. 1-00690 dell’11 luglio 2011 – è che il giro di vite (ereditato dal Governo precedente) fosse volto a impedire l’aggiramento della norma sull’elevazione dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia da parte delle lavoratrici pubbliche con lo spostamento gratuito dei contributi Inpdap all’Inps al raggiungimento del 60° anno e il connesso incremento della spesa previdenziale.
Di fatto la norma (per di più varata con decreto legge e non integrata da disciplina transitoria) ha colpito tutti gli iscritti alle forme obbligatorie di previdenza sostitutive, esclusive e esonerative dell’AGO dei lavoratori dipendenti titolari di contribuzione mista o nei casi di loro cessazione dall’iscrizione prima della maturazione dei requisiti pensionistici. Soggetti, questi, che nelle due ipotesi suddette potevano transitare gratuitamente nell’Inps col proprio zainetto di contributi non inferiori (spesso anzi superiori) a quelli vigenti tempo per tempo presso l’AGO dei lavoratori dipendenti. In questo caso la non onerosità della ricongiunzione non era percepita come un privilegio, poiché non dava luogo a una maggior pensione: era pertanto ragionevole ritenere che una ricongiunzione a cui non corrispondesse un trattamento più elevato (ma anzi tendenzialmente inferiore) dovesse essere gratuita.
Parimenti non percepito come penalizzante era il carattere oneroso della ricongiunzione dei contributi Inps presso fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi che garantivano prestazioni più vantaggiose, e della ricongiunzione dei contributi versati alle gestioni speciali Inps dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori di retti, mezzadri e coloni) presso l’AGO dei lavoratori dipendenti poiché, anche in questo caso, la gestione di destinazione assicurava trattamenti più vantaggiosi di quella di provenienza.
É per questa ragione che – a mio avviso – è stata mal digerita la difesa da parte del Ministro Fornero di una norma (ereditata) in termini di “abolizione di privilegio” o di “equità tra le categorie”.
Va comunque osservato – e di ciò va dato atto al Ministro Fornero – che (proprio in ossequio al principio di equità) la legge n. 214/2011 ha abolito dal 1° gennaio 2012 la soglia minima di tre anni di contribuzione ai fini della totalizzazione gratuita dei contributi. D’altra parte, non è neppure del tutto vero (come ancora afferma il Ministro nel suo articolo, ma forse solo per ragioni di sinteticità) che la totalizzazione dia origine sempre e comunque “a pensioni calcolate interamente col metodo contributivo”, poiché tale principio trova deroga qualora l’iscritto abbia già raggiunto in una gestione di iscrizione i requisiti minimi richiesti per il diritto a un’autonoma pensione; in questo caso, infatti, tale quota di trattamento viene calcolata con il sistema – in ipotesi retributivo – previsto dall’ordinamento di detta gestione.
In contrasto con coloro che parlano di posizioni previdenziali azzerate o di perdita generalizzata di contribuzione, va altresì considerato che a seguito dell’abrogazione della legge n. 322/1958 per effetto della legge n. 122/2010, l’Inpdap ha previsto anche la cosiddetta “pensione differita”, vale a dire la possibilità di attribuire una pensione di anzianità o di vecchiaia agli iscritti titolari dei requisiti contributivi, al raggiungimento del prescritto requisito anagrafico da parte dei medesimi ancorchè non più in attività. Su questo argomento rinvio all’articolo di Fabrizio Bonalda pubblicato su Previdenza e fisco del Sole 24 Ore n. 3/2012. Ritengo perciò che i casi di effettiva perdita di contribuzione per l’impossibilità (dovuta a ragioni economiche) di accedere alla ricongiunzione siano minoritari o residuali; anche se – fuori dal caso testè considerato di mantenimento del regime retributivo – la totalizzazione comporta una indubbia penalizzazione.
Mi pare pertanto equilibrato quanto affermato nel parere del Governo in risposta alla citata mozione dell’On. Cazzola, nel senso:
(i) di “assumere le apposite iniziative normative atte a consentire la possibilità di cumulare, ai fini del diritto a un unico trattamento pensionistico, i periodi assicurative non coincidenti, di qualsiasi durata, posseduti presso le diverse gestioni”; impegno, questo, già assolto dal Governo (dopo l’espressione di tale parere) con l’abolizione del requisito minimo contributivo triennale per l’accesso alla totalizzazione;
(ii) di consentire tale cumulo “attraverso la determinazione pro quota del trattamento stesso senza penalizzazioni”; vale a dire, se ben comprendo, salvaguardando il sistema di calcolo retributivo ove originariamente spettante, anche in difetto dei requisiti minimi per una pensione autonoma. Obiettivo, questo, ragionevole (anche perché fra qualche anno non ci saranno più iscritti nel sistema retributivo), ma evidentemente poco compatibile con le risorse disponibili.
Ti saluto cordialmente.
Andrea Fortunat
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