LA RISPOSTA A QUESTA DOMANDA DIPENDE DA QUANTO EFFETTIVAMENTE È RIGIDA LA DOMANDA DI LAVORO RISPETTO AL VARIARE DELLA DISCIPLINA DEL LAVORO PRECARIO E DA COME VERRÀ PERCEPITA DAGLI IMPRENDITORI LA RIFORMA DEI LICENZIAMENTI
Intervista a cura di Alessandro Cecioni pubblicata fra il 23 e il 24 aprile 2012 su 18 testate locali, tra le quali Il Tirreno, Il Piccolo, Alto Adige, Trentino, il Messaggero Veneto, la Gazzetta di Mantova, la Città di Salerno e la Nuova Sardegna
Quali sono gli elementi della nuova legge sul lavoro che possono rendere più agevole per un giovane trovare lavoro, cessare di essere precario, essere protetto in caso di licenziamento?
Il disegno di legge del Governo si caratterizza per un temperamento della rigidità della protezione della stabilità per i lavoratori subordinati regolari e un contestuale giro di vite contro le più importanti tra le forme di lavoro a termine o comunque sottratto alla disciplina generale. Una questione interessante è se la flessibilizzazione del lavoro subordinato regolare sia di entità tale da consentire una piena efficacia delle misure volte al riassorbimento del lavoro precario nell’area di applicazione della normativa generale. Spero che sia così; ma nessuno può esserne certo, prima che l’esperimento si compia. Per ridurre il rischio che si perdano per strada dei posti di lavoro avrei preferito una riforma dei licenziamenti molto più incisiva, applicata ai soli rapporti di lavoro destinati a costituirsi da qui in avanti, che consentirebbe di riassorbire molto più facilmente l’attuale lavoro precario nell’area del lavoro regolare, senza il rischio di perderne una parte per strada.
La legislazione italiana sul lavoro fino qui si è basata sulla protezione di chi aveva un posto fisso a tempo indeterminato (con il richiamo sociologico, da lei citato di recente, al modello mediterraneo). La riforma Fornero può invertire questa tendenza? E quanto?
Il progetto Fornero mira proprio a questo obiettivo. Nella sua formulazione originaria lo perseguiva con incisività molto maggiore, ma attraverso una fase di sperimentazione limitata ad alcuni ambiti regionali e ai soli start up o nuove assunzioni da parte di imprese disponibili per la sperimentazione. Poi, una proposta presentata dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni ha condotto a una scelta diversa, con cui si è privilegiato l’ampliamento quantitativo – con l’applicazione della nuova disciplina a tutti i rapporti di lavoro, vecchi e nuovi – a costo di sacrificare nettamente l’ambiziosità del progetto sul piano qualitativo. Un po’ grossolanamente, si può dire che si è preferito passare al “modello tedesco” subito per tutti, invece che puntare al “modello danese” attraverso una fase di sperimentazione su di un numero di casi significativo ma circoscritto.
Flexsecurity. Nella sua proposta di legge del 2009 e in interventi più recenti questo termine rappresenta la base dei cambi di prospettiva sulle tutele del mercato del lavoro. Ci può spiegare questo termine? Nella riforma Fornero ce n’è traccia? Contate in Parlamento di rendere più tangibile il cambio in questo senso?
Con questa espressione si indica un modello di organizzazione e disciplina del rapporto di lavoro che coniuga il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale del lavoratore. Sicurezza che, dunque, non viene più costruita sull’ingessatura dei rapporti di lavoro, bensì su di una robusta e universale garanzia di sostegno del reddito nei periodi di passaggio da un posto di lavoro a un altro; e su servizi efficienti e capillari di assistenza intensiva nella ricerca del nuovo lavoro. Il disegno di legge Fornero costituisce un primo passo importante in questa direzione, anche se di entità minore rispetto a quello che sarebbe stato possibile, sia sul versante della flex, sia su quello della security.
La riforma del lavoro può attirare investimenti? Perché? O serve, come ha spiegato lei a un’agenzia di stampa cinese, una legislazione ancora più semplice, “70 articoli facilmente traducibili in inglese”?
L’allineamento della nostra disciplina dei licenziamenti al resto d’Europa costituisce sicuramente un fattore di facilitazione all’accesso degli investitori stranieri. Ma è necessaria anche una drastica semplificazione della nostra legislazione del lavoro, che oggi è tra le più caotiche, ipertrofiche e disorganiche nel panorama mondiale. Detto questo, occorre ovviamente rimuovere anche altri ostacoli all’afflusso degli investimenti diretti esteri: i difetti di efficienza delle infrastrutture di comunicazione e trasporto e delle amministrazioni , gli eccessi conseguenti di burocrazia, il costo dell’energia che da noi è nettamente più alto rispetto agli altri maggiori Paesi europei, il basso livello delle nostre civic attitudes, per non dir peggio. Ma, mentre questi altri ostacoli richiederanno tempo per essere rimossi, i difetti della nostra legislazione del lavoro possono essere corretti in tempi brevi e a costo zero: correggerli costituisce dunque un segnale importante che possiamo e dobbiamo dare subito ai mercati internazionali.
Perché il riformismo di sinistra non riesce a fare proprio un cambiamento radicale sul mondo del lavoro? O pensa che il Pd ci possa riuscire?
Su questo terreno, effettivamente, al Pd è mancata una leadership sicura, capace di cogliere i segni dei tempi. Il Partito democratico è venuto meno alla propria funzione originaria di voltar pagina rispetto alle vecchie incrostazioni culturali della sinistra; e di dar voce anche agli interessi degli outsiders, che nessun sindacato rappresenta. Ha dovuto supplire a questa defezione il Governo Monti. È anche vero, però, che ora si sta delineando un impegno compatto del Pd su di un progetto, quello appunto del Governo Monti, che rispetto a quelle incrostazioni culturali volta pagina per davvero, anche se non nel modo più incisivo che avrei preferito. Questo evento non va sottovalutato.
Al termine dell’ottava legislatura Lei non fu ricandidato dal Pci per aver criticato, fra le varie cose, l’uso della cassa integrazione per nascondere la disoccupazione di lunga durata. La riforma Fornero, trent’anni dopo, sembra darle ragione e prova a ridisegnare la Cig riportandola alle ragioni per cui è nata. Ce la farà la norma a resistere in Parlamento?
Penso proprio di sì. Ma non è solo questo il caso in cui l’evoluzione della politica del lavoro della sinistra italiana ha dato ragione alle mie tesi, che all’origine erano state considerate eccentriche, se non addirittura eretiche. Il mio ruolo di “politico di complemento” è sempre stato questo: cercare di allargare un po’ gli orizzonti di una sinistra un po’ troppo provinciale.
jj