LIBERO: IL PROGETTO FORNERO HA DEI DIFETTI, MA SI MUOVE NELLA DIREZIONE GIUSTA

CON COSTI PER L’ERARIO E PER LE IMPRESE PARI O INFERIORI A QUELLI PREVISTI NELLA RIFORMA PROPOSTA DAL GOVERNO SI POSSONO ATTIVARE SERVIZI DI ASSISTENZA INTENSIVA EFFICACE PER CHI PERDE IL POSTO – MA LA RIFORMA COMUNQUE È UN PRIMO PASSO IMPORTANTE

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti per Libero, 30 marzo 2012


La chiave di volta del modello flexsecurity, mi sembra, sono le cosiddette “politiche attive”. Le imprese pagano sì alti indennizzi al dipendente che licenziano, ma smettono di farlo in caso di ricollocamento del lavoratore (un esito per il quale si impegnano). Ebbene, nel progetto di riforma del governo non sono proprio le politiche attive le grandi assenti?
È vero; si sarebbe potuto e dovuto fare di più su questo terreno. Non solo perché l’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione aiuterebbe a ridurre i periodi di disoccupazione, a tutto vantaggio dei lavoratori licenziati, ma anche perché essa consentirebbe di condizionare efficacemente il sostegno del reddito alla disponibilità effettiva del lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione regolare.

Se le cose stanno in questi termini, perché lei ha dato un giudizio sostanzialmente positivo del progetto di riforma?
Perché esso costituisce comunque un primo passo importante nella direzione giusta. Osservo, poi, che non sarebbe difficile, in sede di discussione parlamentare, correggere questo difetto senza oneri aggiuntivi per l’Erario e mantenendo il costo del licenziamento entro i limiti dell’indennizzo previsto nel progetto Fornero.

Come?
Suddividendo quell’indennizzo in due parti: un’indennità di licenziamento pari a un mese per anno di anzianità di servizio, e il necessario per un “contratto di ricollocazione” che preveda, a carico dell’impresa che licenzia, un trattamento complementare di disoccupazione e l’attivazione di un buon servizio di outplacement. Questo è previsto nel mio disegno di legge n. 1873, con costi medi di licenziamento quasi mai superiori rispetto all’indennizzo previsto nel progetto del Governo.

Sugli effetti del nuovo articolo 18 si ascoltano le valutazioni più diverse: sarà troppo facile licenziare per motivi economici; non sarà affatto facile perché i costi dell’eventuale indennizzo sono proibitivi; aumenterà l’incertezza e si moltiplicheranno i ricorsi in tribunale. Quali sono le sue previsioni?
L’indennizzo previsto in questo progetto è effettivamente, nel suo massimo, superiore del 50 per cento rispetto al massimo tedesco, che è di 18 mensilità. Però, tra minimo e massimo, non è superiore a quello che mediamente oggi paga un’impresa italiana per l’“incentivo all’esodo” di un proprio dipendente. E con l’allineamento sostanziale al modello tedesco questa riforma darà un primo contributo importante al superamento dell’anomalia del diritto italiano rispetto a tutto il resto d’Europa. Proprio questo allineamento sostanziale ridurrà il contenzioso, soprattutto se inseriremo nella nuova disciplina anche il meccanismo previsto nella legge Hartz del 2004.

Che sarebbe?
L’imprenditore offre un indennizzo predeterminato all’atto del licenziamento. Se il lavoratore ritiene il licenziamento illegittimo per discriminazione o rappresaglia, può rifiutarlo e ricorrere al giudice; ma in questo caso, se perde la causa perde anche l’indennizzo. In Germania questa norma ha determinato una netta riduzione del contenzioso.

Nelle settimane scorse una proposta sembrava aver messo d’accordo tutti i sindacati: velocizzare i tempi dei contenziosi legali. Perché è stata fatta cadere?
Non è stata fatta cadere: era un impegno preso dal Governo e quindi verrà sicuramente inserita nel disegno di legge che verrà presentato la settimana prossima.

Lei sarebbe favorevole a dare al giudice la facoltà di decidere il reintegro anche in caso di licenziamento economico senza giusta causa?
La formulazione attuale del progetto del Governo lo prevede: il giudice dispone la reintegrazione in tutti i casi in cui ravvisa un motivo discriminatorio nascosto sotto il motivo economico addotto dall’imprenditore. E anche nei casi in cui ravvisa un motivo disciplinare, che risulti in realtà insussistente. Di fatto, è esattamente quanto accade in Germania.

E secondo lei sarebbe auspicabile un ruolo più attivo delle rappresentanze sindacali in fase di conciliazione preventiva, che faccia da filtro ai ricorsi in tribunale?
Anche questo è già previsto – opportunamente, mi sembra   nel progetto del Governo.

Capitolo flessibilità in entrata. Al netto della lotta agli abusi, non esiste ora il rischio reale di scoraggiare il lavoro autonomo? Per combattere le false partite Iva non si rischia di penalizzare le vere?
La disposizione potrebbe essere perfezionata introducendo, tra le circostanze su cui deve fondarsi la presunzione di dipendenza, anche la modesta entità del reddito. Ma per il resto, il meccanismo della presunzione di dipendenza mi sembra molto ben congegnato e destinato a contrastare efficacemente gli abusi. Chi lavora continuativamente per un unico committente, pienamente inserito nella sua organizzazione, è oggettivamente in posizione di dipendenza.

Ora la palla è passata al Parlamento. C’è margine per miglioramenti paralleli su entrambi i fronti?
Vedo la possibilità di un’intesa bi-partisan su di un rinvio di un paio d’anni per l’applicazione della nuova disciplina ai vecchi rapporti di lavoro stabili regolari e su di una migliore modulazione dell’indennizzo minimo e massimo in relazione all’anzianità del lavoratore.

Il compromesso potrebbe consistere in un testo a metà strada tra la normativa attuale e la proposta del governo?
Non mi sembra probabile, perché sarebbe il governo stesso a opporsi nettamente a una soluzione politica di questo genere, “né carne né pesce”.

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