LA NOSTRA RIFORMA DEL LAVORO VISTA DALLA CINA

IL TENTATIVO DI SPOSTARE IL NOSTRO PAESE DALL’EQUILIBRIO MEDITERRANEO A QUELLO PROPRIO DEI PAESI CENTRO- E NORD-EUROPEI RACCONTATO DALLA MAGGIORE AGENZIA DI STAMPA DI PECHINO IN OCCASIONE DELLA VISITA DI MARIO MONTI IN ESTREMO ORIENTE

Quelli che seguono sono il testo definitivo in inglese e la prima bozza in italiano dell’intervista rilasciata all’Agenzia di stampa Xinhua (Nuova Cina), curata da Marzia De Giuli, 27 marzo 2012


LABOR REFORM: A PRECONDITION FOR ITALY TO RESTART GROWING
      The labor bill adopted by the Italian government and to be voted in parliament is a fundamental step to boost the country’s stagnant economy, a distinguished scholar told Xinhua in an interview on Monday.
      Italy is in urgent need of a profound reform of its law and labor system, and the draft law developed by Prime Minister Mario Monti’s cabinet of technocrats last week “goes in the right direction”, Pietro Ichino, a labor law professor at Milan University and a member of parliament’s Senate, said.
      Ichino said the reform aims at easing Italy’s inflexible labor laws – which hamper competitiveness and growth – by shifting from a “job property” system to a “liability rule”, i.e. a legislation of strong accountability of companies to their employees’ economic security.
      Flexibility for dismissals will be accompanied by a considerable reduction in recourse to fixed-term contracts and free-lance contracts, while unemployment benefits will be enhanced, he said stressing the bill can be further improved before being submitted to parliament vote in the coming weeks.
      For example regarding services for workers in the labor market, Ichino noted, the draft law was still too weak, because “Italy needs much better services in terms of information, training and geographical mobility, as well as intensive assistance to workers who have difficulties in finding a job”.
      The expert, who has been living under police protection for years after receiving threats from the far-left group New Red Brigades because he himself worked on labor legislation, noted the government’s project was mainly developed following the German example.
     “The German model guarantees that a worker has a strong tie with the company to which he belongs, focusing on flexible timetable and an excellent as well as very stable system of industrial relations, to meet the need for adjustments that companies may encounter”, Ichino said.
      He added he would rather base the project on the Danish system, which is focused on the principle of so-called “flexsecurity”, characterized by flexible hiring and firing rules, generous social safety net, and active labor market policies.
     “The Danish system aims at combining the maximum possible flexibility of production structures with the maximum possible economic and professional security of workers in the labor market”, Ichino said.
      Simplifying the current legislation’s structure, “for example by reducing it from some 2,000 pages to 70 clear articles in line with best European standards and also easy to translate into English”, would also help Italy build a modern labor market, he added.
      However, the professor pointed out, as current laws guarantee immovability to stable workers – being Italy still linked to what social scientists call the “Mediterranean model” centered on the male breadwinner with a stable and regular job who supports the whole family – aligning with Germany already means taking a good step towards greater flexibility and efficiency.
      “In fact, it is also possible to go from Italy to Denmark making a stop in Germany; this is why I also support the government’s project”, he stated.
      Ichino called himself optimistic that Monti’s cabinet will succeed in carrying out the labor reform, being aware that its credibility is mainly grounded on this policy.
      Parliament majority parties are also convinced it is absolutely necessary to allow the non-political government complete its term and thus will support the bill, he said adding it will be also important to establish the right incentives for the new labor policies to be implemented.
      The long-awaited labor reform, Ichino highlighted, “certainly is a precondition for Italy to restart growth”.
      Undoubtedly, he pointed out, the reform has not the virtue, alone, to set growth in motion again, and its level of success will also depend on Italy’s capacity to give foreign investors a positive message about its ability to match the best standards of industrialized countries.
      “But I believe this restyling operation will succeed, because it is not only restyling: it is a real change that would help make our country more attractive for foreign investors, something today we desperately need”, he said.

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LA PRIMA BOZZA DELLA STESSA INTERVISTA, IN ITALIANO
Il ddl presentato è ciò di cui l’Italia ha bisogno?
L’Italia ha un grande bisogno di una profonda riforma del suo diritto e del suo mercato del lavoro. Questo progetto va nella direzione giusta, anche se con qualche timidezza di troppo e con qualche difetto. Ma cercheremo di migliorarlo in Parlamento.

Quali difetti?
È ancora debole sul versante dei servizi al lavoratore nel mercato del lavoro: occorrono servizi molto migliori in materia di informazione, formazione professionale e mobilità geografica. Inoltre assistenza intensiva per i lavoratori che presentano difficoltà nella ricerca del posto di lavoro.

A quali modelli si ispira il progetto del Governo e a quali dovrebbe, a Suo parere, ispirarsi la riforma del lavoro ispirarsi, ed è un terreno adatto quello italiano allo sviluppo della flexsecurity?
Il progetto del Governo si ispira prevalentemente al modello tedesco. La riforma che proporrei io si ispira invece al modello danese. Ma dall’Italia si può anche andare in Danimarca facendo una sosta in Germania. Per questo appoggio anche il progetto del Governo.

Potesse Lei prendere in mano il sistema del lavoro di questo Paese e rivoluzionarlo, che cosa farebbe (in punti schematici)?
Riscriverei le duemila pagine della legislazione del lavoro di fonte nazionale, riducendola a 70 articoli chiari e semplicissimi, allineati ai migliori standard europei, scritti per essere tradotti in inglese: è quello che ho proposto tre anni fa con il mio disegno di legge n. 1873/2009.

Se è possibile riassumerli in pochi punti, quali sono i princìpi cardine dei modelli tedesco e danese, e in che direzione vanno le altre economie europee più forti?
Rispondere a questa domanda richiederebbe un corso universitario. Poiché invece devo essere molto sintetico, mettiamola così: il modello danese è ispirato al principio della flexsecurity, mira cioè a coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale del lavoratore nel mercato del lavoro. Il modello tedesco, invece, garantisce al lavoratore un forte legame con l’azienda di appartenenza, puntando di più sulla flessibilità degli orari e su un sistema eccellente e molto collaudato di relazioni industriali, per rispondere alle necessità di aggiustamento che le aziende possono incontrare. Resta il fatto che in Italia il vecchio ordinamento garantisce una tale inamovibilità al lavoratore stabile regolare, che allinearsi alla Germania significa fare un buon passo verso una maggiore flessibilità.

Siamo rimasti così indietro rispetto ai nostri vicini per oggettive difficoltà storico-culturali o per errori della politica?
L’Italia è rimasta in quello che gli studiosi di scienze sociali chiamano il “modello mediterraneo”, centrato sul capofamiglia maschio lavoratore regolare stabile e bred-winner per tutta la famiglia, con moglie addetta all’assistenza ai bimbi, vecchi e disabili.

Qual è nel ddl la vera novità, la svolta che farà ripartire il mercato del lavoro italiano?
Il progetto di riforma del Governo non ha certo la virtù, da solo, di rimettere in moto la crescita del nostro Paese. Ma è certamente una precondizione perché questo avvenga. Il suo contenuto più importante, e anche più controverso, consiste in una norma che, in sostanza, ci fa transitare da un regime di job property a un regime di forte responsabilizzazione dell’impresa per la sicurezza economica dei propri dipendenti, ma non di inamovibilità.

Conosciamo il punto di vista dei politici, ma che cosa pensano del ddl – in base alla Sua esperienza – i più stimati esperti di queste materie sia italiani che internazionali?
Le opinioni sono molto varie. Si va dallo scetticismo all’apprezzamento per l’impegno riformatore.

Quanto inciderà a Suo parere la riforma su occupazione (in particolare giovanile), competitività e crescita?
Questo dipenderà da quanto la riforma riuscirà a lanciare agli operatori stranieri un messaggio positivo circa la capacità dell’Italia di allinearsi ai migliori standard dei Paesi industrializzati. Credo che questa operazione di restyling  possa avere successo, perché corrisponde a un cambiamento reale. Questo dovrebbe contribuire a rendere il nostro Paese più attrattivo per gli investitori stranieri, cosa di cui abbiamo assoluto bisogno.

Secondo Lei c’è il rischio di eventuali “passi indietro” durante l’iter parlamentare (per esempio sull’applicabilità agli statali) oppure le parti politiche giungeranno abbastanza facilmente a un accordo, e in che tempi?
Il Governo è molto determinato a condurre in porto questa riforma. È consapevole che su di essa si gioca gran parte della sua credibilità. E la maggioranza che lo sostiene è ben convinta della necessità assoluta di consentire che il Governo Monti porti a compimento il suo mandato. Per questo sono ottimista sull’esito dell’iter parlamentare di questo disegno di legge. Quanto ai dipendenti pubblici, già ora le norme in materia di licenziamento dettate per i privati valgono anche per loro. Il problema, lì, non è tanto quello di cambiare le norme, quanto di istituire gli incentivi giusti affinché i dirigenti pubblici le applichino.

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