LA RIFORMA TENDE A EVITARE CHE IL SOSTEGNO DEL REDDITO DILATI I PERIODI DI DISOCCUPAZIONE, RIDURRE E SVELTIRE IL CONTENZIOSO GIUDIZIALE SUL LICENZIAMENTO
Intervista a cura di Francesca Druidi pubblicata su Il Giornale-Dossier Lavoro il 22 marzo 2012
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Il Governo Monti sembra propendere per qualche cosa di simile al modello di flexsecurity da lei delineato per la riforma del mercato del lavoro. Quali condizioni e ostacoli si rilevano per la sua concreta ed effettiva attuazione?
Il problema più grave, in questa materia, non è quello delle risorse; è invece il fatto che i periodi di disoccupazione tendono ad allungarsi in corrispondenza con la durata del sostegno del reddito. Per evitare questo effetto pesantemente negativo è indispensabile la capacità effettiva di condizionare l’erogazione alla disponibilità effettiva del lavoratore.
Come lo si risolve?
Oggi i servizi pubblici italiani sono totalmente privi del know-how necessario per l’esercizio di questa condizionalità nell’erogazione del sostegno del reddito al lavoratore disoccupato. Questa incapacità incide pesantemente sulla durata delle erogazioni, quindi sul fabbisogno complessivo. L’unico modo in cui questo nostro difetto di know-how può essere ovviato consiste nell’attivare gli incentivi giusti, nei confronti di chi può realisticamente individuare i servizi di assistenza efficienti e far funzionare la condizionalità necessaria.
Chi può farlo?
L’impresa stessa che licenzia. Si tratta, in sostanza, di coniugare il trattamento di disoccupazione erogato dall’Inps con un trattamento complementare a carico dell’impresa, strutturato in modo da gravare di meno per un primo periodo ed erogato sulla base di un “contratto di ricollocazione” il cui standard minimo sia fissato per legge, firmato dal lavoratore con l’impresa stessa. Durante il primo periodo questa sarà così fortemente incentivata a scegliere il meglio delle società di outplacement, e curare che quella prescelta fornisca il servizio di tutoraggio nel modo migliore.
A prescindere dal modello da lei proposto, da quali elementi una riforma del lavoro non può assolutamente prescindere?
È indispensabile sostituire il filtro giudiziale sul giustificato motivo di licenziamento con un filtro costituito dal severance cost, il costo del recesso, a carico dell’impresa che licenzia. È essenziale poi anche che che il trattamento complessivo di disoccupazione sia composto da una parte coperta dall’assicurazione generale e una parte a carico dell’impresa che licenzia: questo consente di ridurre l’entità del contributo assicurativo per il trattamento generale, evitando un indebito allargamento del cuneo contributivo, e al tempo stesso di istituire un premio implicito per l’impresa più capace di manpower planning.
Qual è la portata, in termini di evoluzione delle relazioni industriali italiane, dell’accordo interconfederale del 28 giugno scorso su contratti e rappresentanza?
È una svolta importantissima, che rende il nostro sistema delle relazioni industriali molto più fluido, più aperto all’innovazione nell’organizzazione del lavoro, quindi anche agli investimenti stranieri.
In che misura l’apertura a modelli di organizzazione del lavoro stranieri potrebbe migliorare le condizioni dei lavoratori italiani?
Gli investimenti delle grandi multinazionali sono spesso accompagnati da piani industriali fortemente innovativi, che portano con sé maggiore produttività del lavoro, quindi anche retribuzioni e condizioni di lavoro migliori.
Per risolvere il problema dei bassi redditi italiani occorre agire su più fronti: i modelli produttivi, ma anche fisco, welfare, sostegno alla famiglia. Quali i punti cardine indispensabili per una riforma ad ampio spettro che incentivi l’occupazione, in particolar modo quella giovanile e femminile, al momento le più svantaggiate nel nostro Paese?
Occorre innanzitutto assolutamente aumentare il tasso di occupazione femminile; per questo occorre un grande investimento in servizi alla famiglia e in particolare asili-nido, ma può svolgere un ruolo importantissimo anche un incentivo fiscale selettivo. Occorre anche aumentare nettamente il tasso di occupazione dei giovani, offrendo loro servizi migliori per la transizione dalla scuola al lavoro; in particolare, è indispensabile un servizio capillare ed efficiente di orientamento scolastico e professionale che raggiunga ogni adolescente all’uscita da ciascun ciclo di studi per aiutarlo a conoscere che cosa gli riserva il mercato dell’istruzione e quello del lavoro. Più in generale, occorre spalancare il Paese agli investimenti stranieri, andando anche a cercarli attivamente e imparando a contrattare i piani industriali innovativi a 360 gradi.
kkk