LA CARTA DI NIZZA E LA QUESTIONE DELL’AUTOMATICITÀ DELL’INDENNIZZO NEL LICENZIAMENTO ECONOMICO

SE È COMPATIBILE CON IL DIRITTO EUROPEO PREVEDERE L’INDENNIZZO SOLTANTO A SEGUITO DI UN GIUDIZIO NEGATIVO SULLA GIUSTIFICAZIONE OGGETTIVA DEL LICENZIAMENTO, PERCHÉ DOVREBBE ESSERE INCOMPATIBILE PREVEDERE L’INDENNIZZO IN OGNI CASO, SENZA NECESSITÀ DEL GIUDIZIO?

Articolo di Tiziano Treu pubblicato su Europa il 15 marzo 2012, sotto il titolo L’articolo 18 degli altri – Mi sono permesso di evidenziare in grassetto due passaggi della seconda parte di questo articolo, che mi paiono in contraddizione tra loro. Di seguito all’articolo ho poi riportato (in corsivo), a mo’ di mio commento, l’ultimo paragrafo del mio editoriale per la Newsletter n. 192, volto a mostrare come la soluzione proposta nel mio progetto – artt. 2119 e 2120 del d.d.l. n. 1873/2009, nel senso dell’indennizzo comunque dovuto e nella limitazione del compito del giudice al controllo antidiscriminatorio – sia perfettamente compatibile con l’articolo 30 della Carta dei Diritti Fondamentali; anche perché essa è nettamente più vantaggiosa per i lavoratori rispetto a qualsiasi soluzione che condizioni il godimento dell’indennizzo all’esito di un controllo giudiziale sul motivo economico-organizzativo del licenziamento – Sul “modello tedesco” cui pure si riferisce oggi il progetto di riforma del Governo per i licenziamenti disciplinari, segnalo quanto scrissi sul Corriere della Sera dieci anni or sono, tre giorni dopo la morte di Marco Biagi

 L’ARTICOLO DI TIZIANO TREU

La riforma degli ammortizzatori si conferma un punto critico della trattativa sul mercato del lavoro. L’obiettivo perseguito dal Min. Fornero di semplificare il sistema prevedendo due soli istituti: una CIG razionalizzata (non abolita) e una indennità di disoccupazione, con una destinazione dell’istituto della mobilità per agevolare la transizione dei lavoratori anziani verso la pensione, è condivisibile. L’altro obiettivo, di estendere il sistema degli ammortizzatori in una prospettiva universalistica è pure importante Ma non è ancora sufficientemente sostenuto, perché restano scoperti proprio quei giovani precari sia lavoratori subordinati, sia parasubordinati che son fuori dal sistema.
Questo è un punto critico della attuale bozza d proposta. Superarlo, magari con soluzioni graduali, è importante per una conclusione positiva della trattativa e faciliterebbe anche il confronto sull’art. 18.
Tale confronto potrebbe essere più proficuo se fosse meno appesantito da apriorismi ideologici e più informato circa le soluzioni adottate in altri paesi europei. In Europa vige il principio, sancito nella Carta dei diritti fondamentali (art. 30), che il licenziamento deve essere giustificato da motivi oggettivi e accertabili. Questo significa che il lavoratore licenziato ha il diritto a che la giustificatezza o meno del licenziamento sia accertata da un terzo imparziale, giudice o arbitro.
Non è ammissibile monetizzare questo diritto come ritiene chi anche in Italia propone che basti pagare una indennità per evitare il controllo giudiziale sulle motivazioni del licenziamento. Questo è un principio essenziale del modello sociale europeo. Non è invece uniforme in Europa il sistema delle sanzioni conseguenti a un licenziamento ingiustificato; è solo necessario che si prevedano sanzioni adeguate ed effettive.
In molti paesi il rimedio tipico è una indennità di dimensione variabile, spesso legata all’anzianità, salvo il caso che il licenziamento sia discriminatorio. In altri paesi è prevista la reintegrazione sul posto di lavoro (Austria, Svezia, Germania, Giappone, Rep. Ceca). Ma anche in questi paesi la reintegrazione non è un rimedio automatico. Dipende dalle situazioni.
In Germania ad esempio il giudice ordina il pagamento di una indennità al lavoratore ingiustamente licenziato quando non è prevedibile che fra datore e lavoratore possa continuare la collaborazione utile agli obiettivi comuni, e quando lo stesso lavoratore non la ritiene possibile. Le ricerche indicano che la reintegrazione è ordinata dal giudice in non più del 15% dei casi ed avviene di fatto in una proporzione ancora minore.
La particolarità dell’art. 18 italiano è che la reintegrazione costituisce un rimedio giuridicamente necessario in tutti i casi di licenziamento ingiustificato; anche se è di fatto poco usato anche da noi perché il lavoratore ritiene più utile negoziare un risarcimento con il datore.
Se questo è vero, modificare la sanzione del licenziamento la necessità della reintegrazione dei lavoratori non lede nessun principio di civiltà, come sarebbe invece se si volesse ammettere la licenziabilità senza giustificato motivo (e senza controlli giudiziali). La definizione delle sanzioni risponde tipicamente a valutazioni di bilanciamento di interessi fra le parti e non a principi assoluti. Se si concorda su questo punto è più facile discutere.
La soluzione tedesca è stata la base di un mio disegno di legge presentato alla Camera nel 2000 (AC 6835), peraltro senza seguito.  Se si segue questa strada si possono precisare meglio i margini di discrezionalità lasciati al giudice. Va peraltro considerato che in Germania nella maggior parte dei casi le conseguenze del licenziamento sono valutate fra le parti (datore e consiglio di fabbrica) prima di andare dal giudice; e tale valutazione non è irrilevante nell’eventuale giudizio. Un confronto sindacale fra le parti è rilevante anche nella prassi italiana (dove i rapporti sindacali sono “normali”). La procedura sindacale è particolarmente stringente nel caso di licenziamenti collettivi. Va anche ricordato che sempre in Germania per ridurre il rischio di giudizio una legge del 2004 ha previsto che ove il datore di lavoro offra al lavoratore una somma predeterminata a titolo di indennizzo e il lavoratore non avanzi obiezioni al licenziamento (ricorrendo al giudice) il rapporto può essere legittimamente risolto. Nella prassi il sistema ha funzionato e ha permesso di ridurre la litigiosità giudiziaria e i costi del licenziamento.
Al fine di ridurre le incertezze è anche possibile precisare sia il concetto di giustificato motivo sia le sanzioni più adatte nei diversi casi di licenziamento ingiustificato.
Infatti nel nostro dibattito attualmente in corso fra le parti si è proposto di distinguere i licenziamenti discriminatori e soggettivi da quelli cd economici, lasciando a questi ultimi solo la sanzione economica. Inoltre la sanzione della reintegra può essere eccessiva quando il licenziamento abbia vizi di forma e procedurali; invece è più appropriata, come nelle proposte sopra indicate, quando si tratti di licenziamenti discriminatori o fondati su motivi infondati o pretestuosi. Le esperienze straniere non si copiano ma talora possono suggerire soluzioni utili.

DAL MIO EDITORIALE PER LA NEWSLETTER N. 192
[…] L’articolo 30 della Carta dei Diritti Fondamentali recita testualmente: Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali“. La norma non vincola affatto il legislatore nazionale a istituire un controllo giudiziale sul merito delle scelte imprenditoriali di gestione aziendale, bensì impone – questo sì – che il lavoratore sia tutelato contro il licenziamento arbitrario, discriminatorio, o comunque dettato da motivi illeciti. La norma, comunque, nulla dice circa la sanzione che deve essere comminata dalla legge nazionale per il “licenziamento ingiustificato”, consentendo pacificamente che la sanzione stessa consista soltanto in un indennizzo monetario. Quand’anche, dunque, l’articolo 30 della Carta imponesse il controllo giudiziale anche sul merito delle scelte di gestione aziendale, esso consentirebbe comunque che a un esito negativo del controllo giudiziale consegua per il lavoratore soltanto il diritto all’indennizzo monetario. Se questo è vero, non si vede come possa essere considerato incompatibile con questa norma sovranazionale un ordinamento statale che preveda un indennizzo monetario in qualsiasi caso di licenziamento per motivo economico od organizzativo, riservando al giudice la sola funzione di controllare che tale motivo non ne nasconda uno di natura discriminatoria o di rappresaglia: per il  lavoratore è evidentemente meglio avere diritto all’indennizzo in ogni caso, piuttosto che avervi diritto soltanto in caso di esito positivo di una controversia giudiziale. Per una più compiuta argomentazione su questo punto rinvio al mio saggio pubblicato nel 2006: La Corte costituzionale e la discrezionalità del legislatore ordinario in materia di licenziamenti. […]

 

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