Tra ieri e oggi, 25 aprile, ho ricevuto molte centinaia di messaggi di lettori ed elettori, dei quali circa due terzi favorevoli alla mia scelta di non aderire alla proposta di Silvio Berlusconi di assumere la carica di ministro del Lavoro nel suo futuro Governo; negli altri messaggi si esprime invece contrarietà e persino talvolta delusione. Scelgo tra questi ultimi la lettera che segue; ma la risposta è ovviamente rivolta anche a tutti gli altri.
Caro Ichino,
ho appreso dal Corriere di questa mattina il suo diniego a partecipare ad un governo Berlusconi. Peccato, forse era veramente giunto il momento di voltare pagina rispetto “ad immobilismi di destra e di sinistra che tanti danni hanno fatto e rischiano ancora di fare al sistema economico italiano”.
Era un’occasione per superare altre barriere ideologiche contro quello che viene chiamato il berlusconismo, l’occasione affinchè fosse chiaro che su certi argomenti (riforma del lavoro e del pubblico impiego) non c’erano derive di destra e di sinistra. Peccato perchè in un governo di centrodestra, e con una maggioranza ampia, avrebbe potuto portare a termine quelle riforme di cui c’è così tanto bisogno e finalmente dare esempio di quel “senso dello Stato” e del “disinteresse personale” dato che, proprio ora, è il momento in cui è “più necessario farlo”. Peccato perchè anzichè evolverci (politicamente) in una nuova era in cui è possibile il dialogo tra fronti opposti, si preferisce sempre quel campanilismo, quell’essere parrocchiani di una sola parrocchia e mai della parrocchia Italia. Peccato perchè, come Le avevo già scritto, Lei era l’uomo che manca al centrodestra. Ma, purtroppo, manca non perchè non esiste, ma solo perchè è del centrosinistra. Peccato perchè forse era la volta buona per dimostrare che la politica può essere un gioco pulito e non animato solo da spirito di parte. Peccato, non per me, non per Lei, peccato davvero per il senso dello Stato, per il disinteresse personale e peccato davvero per l’Italia. Quell’Italia che davvero ha bisogno di gente come Lei. Glielo chiedo, pregandoLa, da quello zero che sono e che tale resterò, ma almeno potrò dire che io ho tentato: Ci ripensi per piacere.
G.Z.
24 aprile 2008
E’ vero che per far funzionare meglio il nostro mercato del lavoro, o la nostra amministrazione pubblica, sono necessarie misure pragmatiche, di buon senso, sulle quali può realizzarsi un’intesa bi-partisan. Il problema è che per far parte di un governo come ministro del lavoro non basta essere d’accordo su queste misure con il premier e con gli altri ministri: occorre anche condividere la visione generale e, quanto meno, la parte dei programmi degli altri dicasteri più strettamente intrecciata con quello di propria competenza; per esempio, la politica relativa alle riforme istituzionali, la politica industriale, quella fiscale, quella relativa alle amministrazioni pubbliche, e altre ancora. Il dissenso su questi temi renderebbe troppo fragile e precario l’eventuale consenso limitato alla materia specifica del lavoro.
Per questo mi sembra che potrei essere poco utile al Paese aderendo a una compagine di governo ispirata per molti aspetti a idee che, in parte o del tutto, non condivido (penso, per esempio, alla disastrosa “protezione” dell’”italianità” di Alitalia perseguita dalla nuova maggioranza, alle sua scelte di politica fiscale che vanno in direzione opposta all’incentivazione del lavoro femminile, al conservatorismo di Giulio Tremonti e di alcuni altri leader del centro-destra proprio sul terreno della riforma del diritto del lavoro). Posso invece forse essere più utile contribuendo a far crescere e radicare nel PD una nuova politica del lavoro, nel contempo incalzando la maggioranza e assecondandola dove opererà bene, su questo terreno.
Nulla impedirà che tra maggioranza e opposizione si attivi – in modo trasparente e nel rispetto dei rispettivi ruoli – una cooperazione per l’elaborazione di iniziative legislative o amministrative, anche di grande importanza e incisività, per il migliore funzionamento del mercato del lavoro, per aumentare la produttività e le retribuzioni, per ridurre drasticamente il precariato permanente, per favorire e indirizzare l’auto-riforma del sistema delle relazioni sindacali, per ridare efficienza e prestigio al lavoro nelle amministrazioni pubbliche e combattere gli sprechi enormi che oggi si osservano in questo settore. Se di questo si tratterà, non mi tirerò certo indietro.
p.i.