NON È SOLTANTO, NÉ PRINCIPALMENTE, UN PROBLEMA DI RISORSE: OCCORRE EVITARE CHE IL SOSTEGNO DEL REDDITO ALLUNGHI I PERIODI DI DISOCCUPAZIONE – PER QUESTO È NECESSARIO RESPONSABILIZZARE LE IMPRESE CHE LICENZIANO
Intervista a cura di Nando Santonastaso, pubblicata sul Mattino, quotidiano di Napoli, l’11 marzo 2012
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Professor Ichino, nelle ultime due settimane si è avuta l’impressione che il confronto tra governo e parti sociali sul lavoro si sia incagliato sulla questione delle risorse per i nuovi ammortizzatori. È così?
No. Il problema più grave, in questa materia, non è quello delle risorse.
Che comunque mancano.
Ma si trovano. Se la riforma si fa sul serio, essa elimina molti sprechi e consente alle stesse imprese notevoli risparmi. La parte maggiore del fabbisogno verrà reperita lì.
Allora, qual è il problema più grave?
È che i periodi di disoccupazione tendono ad allungarsi in corrispondenza con la durata del sostegno del reddito. Per evitare questo effetto pesantemente negativo è indispensabile la capacità effettiva di condizionare il trattamento alla disponibilità effettiva del lavoratore. Oggi i servizi pubblici italiani sono totalmente privi del know-how necessario per far valere questa condizione.
C’è una soluzione?
Occorre attivare gli incentivi giusti, nei confronti di chi può realisticamente individuare i servizi di assistenza efficienti e far funzionare quel meccanismo indispensabile della condizionalità del trattamento.
Come?
Questo in Italia oggi è possibile soltanto coniugando strettamente il trattamento di disoccupazione erogato dall’Inps, che coprirà il primo anno, con un trattamento complementare a carico dell’impresa che licenzia, che graverà poco nel primo anno ma molto di più nel secondo. Così, durante il primo periodo l’impresa stessa sarà fortemente incentivata a scegliere il meglio delle società di outplacement, e curare che quella ingaggiata fornisca al lavoratore il servizio migliore, e al tempo stesso ne controlli la disponibilità effettiva nel modo più efficace.
Costo per lo Stato?
Il trattamento erogato dall’Inps si finanzierà con un contributo di poco superiore all’1% a carico delle imprese. Le imprese industriali già lo pagano. Quanto al costo per l’Erario, a regime sarà di un miliardo e mezzo o due all’anno, che serviranno per la copertura contributiva figurativa nei periodi di disoccupazione.
Non sono comunque noccioline.
No. Ma il fabbisogno non decorrerà da subito: il nuovo sistema andrà a regime soltanto nel giro di due o tre anni.
Poi ci sono i servizi di outplacement, che costano cari.
È compito delle Regioni coprire in tutto o in buona parte il costo standard di mercato di questi servizi, attingendo ai contributi del Fondo Sociale Europeo, oggi inutilizzati, e riqualificando la propria spesa in questo campo, sulla base di leggi regionali che prevedano accordi-quadro regionali o convenzioni individuali con le singole imprese interessate.
E c’è il costo per le imprese: contributo per l’assicurazione disoccupazione più trattamento complementare.
Ma in cambio le imprese avranno una maggiore flessibilità in uscita. Non è certo eccessivo chiedere loro di utilizzare un terzo o metà di quello che risparmieranno con l’azzeramento dei ritardi attuali nell’aggiustamento fine degli organici, per garantire la sicurezza economica dei lavoratori che dovranno licenziare.
Siamo al tema caldissimo dell’articolo 18. Previsioni?
Mi sembra che si stia determinando una larga convergenza sulla proposta del segretario della Cisl Bonanni. Se questa sarà la scelta, sarà un passo notevole in direzione del modello flexsecurity: al controllo giudiziale sul giustificato motivo oggettivo, con tutte le rigidità che ne conseguono, si sostituirà il filtro costituito dal costo per l’azienda e la sicurezza economica garantita automaticamente al lavoratore in tutti i casi di licenziamento economico, senza necessità di avvocati e giudici.
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