LA STAMPA: LA FLESSIBILITÀ BUONA E QUELLA CATTIVA

COMMENTO ALLA LETTERA DEL MINISTRO DEL LAVORO ELSA FORNERO AL QUOTIDIANO TORINESE SULLA RIFORMA DEL LAVORO DI CUI L’ITALIA HA URGENTE BISOGNO

Testo integrale dell’intervista a cura di Luigi Grassia, pubblicata su la Stampa il 5 marzo 2012 con alcuni tagli per motivi di spazio

Professor Ichino, ma la riforma del mercato del lavoro è davvero così necessaria e addirittura urgente, come dice il  ministro Fornero nella sua lettera alla Stampa di ieri?
Abbiamo un mercato del lavoro con molti gravi difetti. E a farne le spese sono, per primi, i lavoratori italiani.

Quali difetti?
Retribuzioni basse, dovute a bassa produttività. Tassi di occupazione drammaticamente bassi nei segmenti delle donne, dei giovani e degli over 50. Cattiva qualità della nostra disoccupazione, che è prevalentemente di lunga durata. E soprattutto il dualismo: metà della forza-lavoro fortemente protetta contro il rischio della perdita del posto, l’altra metà poco o per nulla protetta. Non è soltanto un problema di equità, ma anche di efficienza: nessuno investe sulla formazione professionale di un dipendente precario.

C’è però chi contesta la riforma, dicendo che la flessibilità in Italia è già fin troppa e adesso si approfitta della crisi per far passare leggi a danno dei lavoratori.
Mi sembra davvero assurdo considerare la riforma a cui sta lavorando il Governo come fonte di sacrifici per i lavoratori, quando invece tutti avranno da guadagnare. L’obiettivo immediato è di rovesciare il rapporto attuale, nelle nuove assunzioni, di quattro a uno tra i contratti a termine e i contratti a tempo indeterminato. Le pare poco, per chi entra oggi nel tessuto produttivo?

Come?
Contrastando l’abuso delle collaborazioni autonome e rendendo per diversi aspetti più appetibile per le imprese il contratto a tempo indeterminate rispetto al contratto a termine.

Il primo punto della lettera della Fornero è la “buona flessibilità”; ma in che maniera la flessibilità può essere buona?
La flessibilità delle strutture produttive è “buona” quando si coniuga con la sicurezza economica e professionale di chi vi è addetto. Questo si ottiene soprattutto facendo funzionare bene il mercato del lavoro, rendendolo più fluido e al tempo stesso curando meglio la sicurezza economica e professionale del lavoratore nel passaggio da un’occupazione a un’altra.

E questo si ottiene riducendo la Cassa integrazione guadagni?
La Cig è uno strumento prezioso per tenere i lavoratori legati all’impresa nei periodi di difficoltà temporanea. Ma proprio per questo la Cig è lo strumento sbagliato quando invece è certo che il lavoro in quell’impresa non potrà riprendere.

Come la si sostituisce?
Quando il vecchio lavoro non c’è più occorre un sostegno del reddito del lavoratore anche più robusto, ma collegato con un’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione e condizionato alla disponibilità effettiva del lavoratore.

Per questo occorrono risorse, che non ci sono.
Le si trovano eliminando i costi e gli sprechi derivanti dal modo sbagliato con cui oggi si affrontano le crisi occupazionali. La fine dell’abuso della Cig consente di arricchire il trattamento di disoccupazione. Il taglio del ritardo sistematico nell’aggiustamento degli organici consente di responsabilizzare anche le imprese per la sicurezza economica e professionale dei dipendenti licenziati.

La Fornero indica il modello tedesco. Ma ho sentito anche dei politici tunisini invocare per la Tunisia il modello svedese. C’è una possibilità realistica che l’Italia diventi come la Germania?
Certo: un po’ come la Germania, e anche un po’ come la Svezia. A questo serve la buona politica. L’errore più grave è quello di inchiodare il nostro Paese alle sue arretratezze tradizionali, teorizzando l’impossibilità di liberarsene.

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