I DIFETTI DI UN MERCATO CHIUSO AGLI INVESTIMENTI ESTERI, VISCHIOSO E PRIVO DI UNA RETE CAPILLARE DI SERVIZI EFFICIENTI
Intervento pubblicato sul settimanale Gente, 2 marzo 2012 – In proposito v. anche un brano del quinto capitolo di Inchiesta sul lavoro (Mondadori, 2011), dove racconto un esempio dell’effetto depressivo sui livelli retributivi italiani prodotto dalla chiusura del nostro sistema delle relazioni industriali ai modelli di organizzazione del lavoro stranieri
Un effetto depressivo sui salari è prodotto dalla chiusura del nostro Paese agli investimenti stranieri: per questo aspetto, peggio dell’Italia in Europa fa soltanto la Grecia. Gli insediamenti delle grandi multinazionali si accompagnano per lo più a piani industriali con un alto tasso di innovazione, caratterizzandosi dunque per una maggiore produttività oraria del lavoro rispetto alla media delle imprese indigene; ma da vent’anni non abbiamo alcun nuovo insediamento di una multinazionale. Qualche responsabilità la ha anche il “nanismo” del nostro tessuto produttivo: nelle imprese più piccole la produttività è infatti mediamente minore che in quelle di maggiori dimensioni. Per altra parte la minore produttività è dovuta a una peggiore allocazione delle risorse umane, imputabile alla mancanza di un servizio capillare di orientamento scolastico e professionale e di una rete di servizi efficienti nel mercato del lavoro. Nella metà non protetta della forza-lavoro la minore produttività è in parte conseguenza anche di un difetto di formazione professionale: le imprese non investono sul personale precario. Infine va considerato anche l’effetto depressivo sui livelli retributivi prodotto dalla maggiore rigidità della protezione contro il licenziamento, dove essa si applica: ne consegue infatti un più alto “contenuto assicurativo” del rapporto di lavoro, che comporta a sua volta un più alto “premio assicurativo” implicito pagato dai lavoratori agli imprenditori, in termini appunto di minor retribuzione.
kkk