SULLA RIFORMA DEL LAVORO SI GIOCA L’IDENTITÀ POLITICA DEL PARTITO DEMOCRATICO (CHE CON LE PROPRIE INCERTEZZE DI LINEA RISCHIA DI REGALARE AL CENTRODESTRA IL GOVERNO MONTI, DOPO AVER FATTO TANTO PER COSTRUIRLO)
Articolo di Federico Geremicca pubblicato su la Stampa il 23 febbraio 2012
Che si tratti di obiezioni di merito o di metodo, piuttosto che di una scelta tattica (o addirittura generata dalle crescenti tensioni interne al Pd), sta di fatto che il «nuovo corso» avviato da Pier Luigi Bersani nei confronti del governo-Monti, rischia di precipitare i democratici in un paradosso del tutto inatteso: e cioè, «regalare al centrodestra» (per usare una formula assai di moda) attori e risultati di un esecutivo che il Pd più di ogni altro – e Bersani prima di tutti – ha voluto così fortemente da rinunciare addirittura a elezioni che lo avrebbero visto sicuro vincitore.
La prospettiva (lontana ma certo non più remota) sta naturalmente molto agitando le acque in casa democratica: ma poiché non tutti i mali vengono per nuocere, sarebbe allora utile che il Pd cogliesse l’occasione di questa nuova divisione interna non per concluderla con la solita conta tra correnti, ma per meglio definire – prima di tutto come dovere verso i suoi iscritti ed elettori – gli altri «pezzi» non secondari della sua ancora labile identità.
Infatti, anche se la sorpresa sarebbe grande, può certo accadere che – in ragione dei tentennamenti e delle prese di distanze del Pd – proprio Silvio Berlusconi (che ha dovuto lasciare Palazzo Chigi di malavoglia per far spazio a Monti) si ritrovi ad essere lo sponsor più convinto del suo indesiderato successore: ma il partito che avesse determinato una tale parabola cioè il Pd – avrebbe l’obbligo di una chiara e limpida spiegazione. Cos’è che è cambiato? In cosa i democratici non sono (o non sono più) d’accordo con Monti? E che cosa propongono di fare in alternativa?
Da questo punto di vista, la discussione che si è aperta intorno alla possibile riforma dell’articolo 18 potrebbe essere perfetta per un chiarimento che investa la natura stessa (la ragione sociale, si potrebbe dire) del Partito democratico. Essa, infatti, potrebbe aiutare a meglio definire – e una volta per tutte – questioni tutt’altro che marginali, ma ciò nonostante ancora irrisolte: a partire dall’idea che si ha del mercato del lavoro e dei meccanismi che devono regolarlo, fino al rapporto con le organizzazioni sindacali e con il loro presunto diritto di condizionamento (e talvolta di veto) dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Purtroppo, invece, la via imboccata sembra esser fatta – ancora una volta di scorciatoie, divagazioni e uso strumentale (a fini interni) delle questioni sul tappeto. Piuttosto che discutere per dirne una – se sia possibile per un esecutivo varare norme senza l’accordo dei sindacati, si litiga sull’opportunità che il responsabile economico del partito sfili in corteo con la Fiom contro i provvedimenti di un governo al quale ha votato la fiducia (questione che si credeva risolta, in verità, già al tempo dei ministri comunisti in piazza contro il governo Prodi…). Per non dire, naturalmente, degli ulteriori elementi polemici (molto spesso assai distanti dalla questione sul tappeto) con i quali gli oppositori interni del segretario appesantiscono e deviano la discussione: dalla legge elettorale alle primarie, fino ai futuri e possibili rapporti con Monti e la sua squadra.
Il risultato è quello che va delineandosi con sempre maggior chiarezza: un ritorno di quell’incertezza e quella confusione – insopportabile ai più – che aveva caratterizzato l’ultimo anno almeno del governo di Silvio Berlusconi. E il riproporsi – in maniera perfino più acuta – di quello che è stato forse l’elemento più penalizzante per il Pd in questa legislatura: la sensazione, cioè, che non costituisse una alternativa credibile al centrodestra. Che non fosse, insomma, una forza politica affidabile.
Un vecchio proverbio afferma che una scelta è sempre meglio di due mezze scelte. Applicato al rapporto del Pd col governo Monti, lo si potrebbe tradurre così: o di qua o di là è sempre meglio che un po’ di qua e un po’ di là. Anche perché, ripresosi dallo choc delle dimissioni, Berlusconi sembra aver fatto la sua scelta: tutti a sostegno del governo, senza se e senza ma. Il rischio, per il Pd, è dunque il paradosso di cui si diceva all’inizio: «regalare Monti» alla destra dopo aver fatto tanto per averlo al governo. A occhio e croce, non proprio un buon affare…
kkk