PER USCIRE DALL’EQUILIBRIO DETERIORE CHE CARATTERIZZA IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO OCCORRE UN INSIEME ORGANICO DI MISURE, DELLE QUALI VA ESAMINATO L’EFFETTO COMPLESSIVO
Articolo dell’economista Marco Simoni pubblicato sul Sole 24 Ore il 14 febbraio 2012
Perché in Italia c’è la precarietà? In Germania, Francia e Regno Unito ci sono più giovani che da noi con una durata media del posto di lavoro inferiore a un anno. Eppure in quei paesi, a differenza che da noi, non esiste un discorso pubblico e privato così drammaticamente concentrato sulla precarietà. Evidentemente, si tratta di un tema che non si può afferrare solo con riferimento alla durata dei contratti di lavoro.
La precarietà intesa come condizione esistenziale che restringe gli orizzonti delle persone al presente, impedisce scelte dalla prospettiva più ampia e porta con sé uno stato di sofferenza individuale può essere ricondotta a tre cause.
La prima è certamente legata ai contratti temporanei, ma riguarda soprattutto le componenti non salariali. L’effetto “precarizzante” dipende soprattutto dall’assenza o quasi dell’insieme di diritti che formano parte integrante di una definizione piena di “lavoro decente” come suggerito dagli standard dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil): maternità, ferie, malattia e la protezione del reddito in caso di disoccupazione. Queste prerogative svolgono una funzione chiave nell’allargare le prospettive di scelta e di vita delle persone.
L’assenza di protezione del reddito assieme all’implicita assenza di tutele contro i licenziamenti arbitrari (anche a “capriccio”, o discriminatori) per i quali è sufficiente non rinnovare il contratto a termine, sono le ragioni fondamentali della caduta del potere contrattuale dei lavoratori a tempo. Infatti, in questo ambito, il conflitto capitale/lavoro è collassato: non perché i giovani lavoratori sono imbelli, ma perché la sproporzione di forze è soverchiante per l’effetto di due asimmetrie.
La prima è quella nei confronti dei datori di lavoro. Infatti, mentre la flessibilità senza protezioni espone i lavoratori a una concorrenza sfrenata, molte aziende, enti, studi professionali, sono schermati da una vera competizione di mercato.
La seconda asimmetria è quella tra lavoratori flessibili e lavoratori a tempo indeterminato che fa sì che qualsiasi decisione di ristrutturazione economica ricada innanzitutto, senza costi, e senza compensazione, sulle spalle dei primi, molto spesso con l’accordo esplicito dei sindacati che rappresentano, al contrario, solo i lavoratori a tempo indeterminato.
Privi di potere contrattuale, i lavoratori flessibili hanno visto i loro salari diminuire sempre più. Nel 1998 guadagnavano 70 euro in meno a settimana dei lavoratori standard, nel 2004 92 e nel 2010 ben 120 (dati Lombruni/Taddei 2009, Cgia di Mestre, 2010). Un’ulteriore conferma viene dall’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane riferita al 2008 che mostra come i redditi delle persone con meno di 44 anni siano aumentati di appena il 5% dal 1993 al 2008, mentre sono cresciut di circa il 25% i redditi di chi ha oltre 55 anni. Si tratta di un dato difficile da comprendere, se non con riferimento al fatto che le condizioni di lavoro flessibili hanno riguardato essenzialmente i lavoratori più giovani.
Per questa ragione il terzo tassello per afferrare il tema della precarietà riguarda la casa, perché appunto, a seguito delle riforme degli anni 90 e 2000, in Italia il dualismo del mercato del lavoro ha preso la forma di una spaccatura generazionale.
Dal 1996 al 2008, le case sono in media aumentate del 50% al netto dell’inflazione (Baldini, “La casa degli Italiani”, Il Mulino) e nelle grandi città anche molto di più. Questi aumenti colpiscono soprattutto i più giovani, che devono acquistare una casa o cominciare un contratto di affitto.
Ricapitolando: mentre i prezzi delle case subivano aumenti vertiginosi, i salari dei lavoratori flessibili diminuivano a causa del loro scarso potere contrattuale, in un contesto in cui essi erano anche privi di sostanziali protezioni sociali. Il concorrere di questi tre fattori ha determinato la precarietà che ormai caratterizza larghissimi strati della popolazione under 40 (infatti, in mancanza di anche uno solo di questi fattori, il senso di precarietà individuale si affievolisce di molto).
Dalla prospettiva suggerita da questa analisi è possibile valutare in modo diverso l’azione del governo. Infatti, piuttosto che concentrarsi sugli effetti immediati delle singole misure, diventa cruciale riflettere sulle loro interazioni. Assumono allora una nuova prospettiva le proposte di riforma della cassa integrazione e l’idea di un sussidio di disoccupazione generale; l’obiettivo di unificare il mercato del lavoro in una forma contrattuale largamente prevalente; le norme per lo stimolo della concorrenza recentemente approvate e quelle in cantiere; perfino il ripristino di una tassa sugli immobili che può contribuire (non essendo sufficiente) a raffreddare le dinamiche dei prezzi delle abitazioni.
Si tratta di misure molto diverse tra loro che contribuendo a rafforzare la coerenza complessiva del nostro sistema possono contrastare significativamente il dramma sociale ed economico della precarietà.
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