L’INGANNO DELLA “FINE DEL LAVORO”

INVECE DI RASSEGNARCI ALLA DIFFICOLTÀ DI TROVARE NUOVE OCCUPAZIONI, PERCHÈ NON CERCHIAMO DI CAPIRE CHE COSA IMPEDISCE A UNA IMMENSA DOMANDA DI SERVIZI INSODDISFATTA DI INCONTRARSI CON L’OFFERTA DI MILIONI DI ITALIANI DISOCCUPATI O SCORAGGIATI? 

Editoriale telegrafico per la Newsletter n. 187, 13 febbraio 2012

Davvero “in Italia non c’è più lavoro”, come si sente dire sempre più spesso?
Quanti addetti/e ci vorrebbero per dare a ciascuna delle lavoratrici-madri, a ciascuno dei disabili e degli anziani non autosufficienti, la stessa quantità e qualità di assistenza che è offerta loro nel nord-Europa? E per recuperare e proteggere il nostro patrimonio artistico e ambientale che sta andando in malora? E per ripristinare e mantenere il decoro delle strade delle nostre città, bruttate dai graffiti nel centro-nord, da incuria e degrado al sud? E per rispondere agli infiniti altri bisogni insoddisfatti della nostra società civile?
Invece di piangere sulla fine del lavoro, che non è finito affatto, perché non cerchiamo di individuare e rimuovere il diaframma che a questa immensa domanda di servizi impedisce di incontrarsi con l’offerta di milioni di italiani oggi disoccupati o scoraggiati?

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