IL PARLAMENTARE PDL ESPONE LA POSIZIONE DEL CENTRODESTRA SULLA RIFORMA DEL LAVORO NELLA NUOVA STAGIONE POLITICA
Intervista a Giuliano Cazzola pubblicata sulla rivista on-line illaboratorio.net il 2 febbraio 2012 – In argomento v. anche la mia intervista pubblicata sulla stessa rivista l’8 febbraio 2012
Onorevole i lavori per una possibile riforma del mercato del lavoro stanno per entrare nel vivo, quali sono le sue aspettative? E quali i risultati concreti che secondo lei realisticamente possono essere raggiunti?
Rispondo alla sua domanda prendendola da lontano. Se mi avesse chiesto, a dicembre, che cosa mi aspettavo in materia di pensioni sarei stato sicuramente più prudente del governo. Non vorrei peccare di eccessivo pessimismo ed essere ancora una volta smentito dai fatti. Ma non ho molte aspettative. La resistenza delle parti sociali al cambiamento e’ molto forte e trova un appoggio nel Pd mentre noi stentiamo a trovare un ruolo. Per come sono messe le cose sarebbe importante evitare che siano messe in discussione le politiche del lavoro del governo Berlusconi. Può darsi pero’ che ancora una volta il Governo riuscira’ a stupirmi. Ci sono comunque dei limiti oggettivi. Poche risorse per una riforma degli ammortizzatori sociali, forti vincoli per quanto riguarda la questione del licenziamento individuale.
Oggi appare fondamentale rispondere due grandi esigenze: da una parte garantire il reddito (con riferimento per i nuovi lavoratori, non tanto ai periodi di occupazione, quanto a quelli di non occupazione), dall’altra garantire alle imprese la necessaria flessibilità, come si possono coniugare queste due esigenze?
Vede, è in atto da anni una campagna politica e sindacale, ma anche culturale e mediatica, che pone in via prioritaria la questione della precarietà come se fosse un fenomeno contiguo alla disoccupazione. In verità nessuno riuscirà mai a stabilizzare con norme o divieti posti di lavoro distrutti o non creati dall’economia. Con tutto l’armamentario del contratto unico, con l’idea folle di far pagare di più il lavoro flessibile ci stiamo preparando a creare maggiori difficoltà all’occupazione giovanile. I rapporti di lavoro flessibili sono stati pensati in tutto il mondo sviluppato alla fine del secolo scorso allo scopo di sbloccare il mercato del lavoro a favore dei giovani. Dal 1997 al 2007, grazie alle nuove norme, in Italia abbiamo creato più di tre milioni di nuovi posti di lavoro a fronte di una crescita economica di poco superiore, mediamente, all’1% l’anno. Quell’incremento non lo abbiamo perso del tutto nonostante la crisi di questi ultimi anni. Pensare di porre nuovi vincoli alle imprese per quanto riguarda la nuova occupazione, senza individuare un minimo di flessibilità in uscita per la manodopera occupata significa rendere ancora più difficile la ripresa. Il ministro Fornero sa che esiste un lungo elenco di aziende che aspettano l’esito del negoziato, pronte, in caso di sostanziale fallimento, ad investire il Serbia o in Croazia, a due passi dai nostri confini.
Una delle maggiori difficoltà delle aziende (soprattutto straniere) è rappresentata dalla “giungla” normativa in materia di lavoro. Non crede che un eventuale Testo Unico sul Lavoro – con aggiornamento delle leggi più vetuste (cfr. art. 4 S.L.) – possa rivelarsi uno strumento efficace e necessario nella direzione della semplificazione della normativa, incentivando gli investimenti stranieri e le assunzioni nel nostro Paese?
Un Testo Unico sarebbe certamente utile. Non siamo mai riusciti a redigerlo neppure in materia di pensioni, nonostante che la decisione sia stata assunta più volte. Ci sarebbe voluto il coraggio di mettere al lavoro un pool di giuristi all’inizio della legislatura. Se ne parlerà nella prossima, mi auguro.
A proposito di articolo 18, la sua eventuale abrogazione viene assunta quale strumento di flessibilità in uscita, ma da più parti si ricorda che comunque in Italia i licenziamenti per motivi oggettivi e per riorganizzazione aziendale sono possibili purché effettivi e reali. E’ vera questa obiezione? E a proposito dei licenziamenti per motivi oggettivi, è proprio vero che gli stessi sono insindacabili dai Giudici oppure, nella prassi, in qualche modo si decide anche sindacando le scelte imprenditoriali?
A me alcune scelte del governo Berlusconi non sono piaciute. Perchè affrontare il tema dell’articolo 18 solo in zona Cesarini, nella lettera di intenti del 26 ottobre, per giunta dopo che la lettera della Bce dell’agosto lo chiedeva in modo chiaro? Perché limitarsi ad indicare solo il caso dei licenziamenti per motivi economici che costituiscono una fattispecie abbastanza limitata visto il sottile confine che li separa dai licenziamenti collettivi? Quanto ai giudici, vi sono casi in cui essi pretendono di stabilire se esistono effettivamente le difficoltà economiche che il datore lamenta per ricorrere ad un licenziamento.
Le sembra ragionevole o ipotizzabile pensare ad una riforma che, pur mantenendo inalterate le garanzie in uscita di cui all’art 18 S.L., riconosca al datore di lavoro garanzie di flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro (orari di lavoro, mansioni, trasferimenti e trasferte, retribuzione) e, in cambio, al lavoratore di ottenere da subito il contratto a tempo indeterminato?
Il Governo Berlusconi, nell’articolo 8 del decreto di Ferragosto, aveva concesso un ampio ventaglio di possibilità alle parti sociali per trovare tramite la libera contrattazione le migliori soluzioni per la competitività della impresa e l’uso della manodopera. Eppure la norma ha incontrato l’ostilità dei sindacati e quindi del Pd con la complicità della Confindustria.
Pomigliano. Appare evidentemente insostenibile che un’azienda sia costretta ad un nuovo contratto per chiedere che festività e ponti non siano preceduti o seguiti con sistematicità da giorni di malattia, o che la pausa pranzo si faccia a fine turno, invece che un’ora prima dello stesso. Una situazione del genere non può che contribuire a tenere lontani imprese ed investimenti stranieri. Nello stesso tempo però, non crede che aprire la strada al ricorso di contratti in deroga a quello nazionale comporti il rischio di una frammentazione eccessiva del sistema, con come corollari l’indebolimento della forza contrattuale del lavoratore e l’aumento del contenzioso?
Il trattamento riservato alla Fiat è stato ed è scandaloso. Lo dico soprattutto pensando agli organi di informazione. Ha mai visto un servizio televisivo sul nuovo stabilimento di Pomigliano? I giornalisti che lo hanno visitato parlano di situazioni innovative, di una organizzazione del lavoro rinnovata, ma non hanno scritto una sola riga. Il solo che ha avuto il coraggio di raccontare quella esperienza è stato Pietro Ichino. I media stanno dalla parte di Maurizio Landini.
Rispetto alla proposta di contratto unico lei ha manifestato qualche perplessità, in particolare ha sostenuto che le diverse tipologie di rapporti, previste dalla legge Biagi, meglio rispondono all’esigenza di regolare in modo appropriato differenti prestazioni lavorative. Vuole spiegarci meglio la sua posizione?
Che i rapporti di lavoro siano 46 è solo una leggenda metropolitana. Le tipologie di rapporti di cui alla legge Biagi non sono la causa della precarietà ma una opportunità, perché servono a regolare, con soluzioni mirate, situazioni professionali che soffrirebbero se sottoposte a norme forzosamente unificate. Se poi ci sono violazioni bisogna affrontare il problema sotto questo aspetto. Non servirebbe a nulla potare degli strumenti giuridici che hanno una loro utilità magari solo marginale. Se un coltivatore ha una piccola vigna e vuole arruolare dei pensionati e degli studenti per raccogliere l’uva durante un week end , trova molto utile avere a disposizione i voucher, che hanno un basso contenuto di adempimenti burocratici. Lo stesso discorso vale per il titolare di un ristorante prenotato per un pranzo nuziale con molti invitati. Deve avere a disposizione quella domenica un cameriere ed un cuoco in piu’. Il lavoro a chiamata fa il caso suo. Oppure potrebbe ricorrere al lavoro in affitto. Del contratto unico a tutela crescente ne’ lui ne’ gli occasionali datori saprebbero che farsene.