L’ARTICOLO 18 DEI FARMACISTI

COME LA CONCORRENZA ELIMINA DAVVERO LE RENDITE DI POSIZIONE

Articolo di Andrea Ichino pubblicato su Il Sole-24 Ore del 3 febbraio 2012

Il governo Monti è riuscito in un’altra impresa straordinaria: far discutere gli italiani di concorrenza e farli riflettere sui vantaggi del difendersi anche come consumatori, non solo come lavoratori. Una rivoluzione copernicana difficile da digerire per chi lavora come dipendente, ma anche per i molti autonomi e imprenditori che per anni hanno potuto godere dei privilegi di un loro specifico “articolo 18”: ossia di quel sistema di protezioni contro la concorrenza che ha consentito loro di vendere beni e servizi a prezzi maggiori di quelli che altri produttori avrebbero praticato per lo stesso tipo di offerta, se soltanto avessero potuto operare nello stesso mercato.
Ovviamente ogni categoria di dipendenti o autonomi che vede diminuire i suoi privilegi, proclama che in realtà i consumatori subiranno un danno da tutto questo, perché il prezzo dei servizi da loro offerti è alto non per proteggere rendite parassitarie, ma perché riflette i costi di un’offerta di qualità elevata.  In effetti non è sempre facile capire se dietro a un prezzo alto ci stia una rendita ingiustificata o i costi necessari a produrre nel migliore dei modi il bene in questione. Ma con informazioni adeguate è possibile farlo.
In uno studio su dati di alcuni anni fa, con Giacomo Calzolari, Francesco Manaresi e Viki Nellas, abbiamo misurato il potere di mercato dei farmacisti, ossia la possibilità di alzare i  prezzi senza perdere clienti quando la domanda aumenta per prodotti che il farmacista può acquistare dal grossista ad un costo unitario costante. Immaginiamo un piccolo paese nel quale in un dato mese aumentino i neonati e, conseguentemente, la domanda di prodotti per la loro cura che in parte sono anche domandati da altri consumatori: le pomate contro le infiammazioni della pelle, ad esempio. Se nel paese esiste un’unica farmacia, essa potrà aumentare il prezzo di questi prodotti sapendo che i genitori dei neonati non faranno storie e compreranno anche a prezzi elevati perché hanno fretta e sono in ansia per i loro bambini (ci sono i supermercati, ma se si ha fretta e si vive in piccoli paesi non sono sempre un’alternativa praticabile). Aumentando il prezzo i farmacisti perderanno magari qualche consumatore esperto e meno affrettato che andrà altrove a comprare, ma il vantaggio del poter sfruttare la disponibilità a pagare dei neo genitori renderà l’aumento dei prezzi conveniente per il quasi-monopolista. Se le farmacie, però, fossero due, e magari anche vicine, questo non accadrebbe perché la concorrenza tra di esse renderebbe molto pericoloso aumentare i prezzi, per via del rischio di vedersi sottrarre i clienti dal negozio accanto.
I nostri dati dicono che questo è esattamente ciò che accade in Italia. Nei comuni con una popolazione che storicamente non ha mai superato i 7500 abitanti e nei quali per legge (fino all’approvazione del nuovo decreto governativo) deve operare una sola farmacia, un aumento mensile del numero di neonati provoca un aumento significativo dei prezzi dei prodotti da essi utilizzati, mentre nessun aumento si osserva nei comuni dove invece la popolazione ha superato questa soglia e nei quali, pertanto, vi sono più farmacie. Difficile pensare che questa differenza possa dipendere da altri fattori, diversi dall’assenza di un numero sufficiente di negozi concorrenti, visto che i comuni appena sotto o appena sopra questa soglia sono  statisticamente simili in tutto e per tutto. L’unica cosa che li differenzia in modo evidente è il numero di farmacie.
I prodotti considerati dal nostro studio sono una piccola parte di quanto venduto dai farmacisti, i quali comunque non sono certo i soli ad aver goduto di protezioni come quella che stabilisce quante farmacie debbano poter operare in funzione della popolazione circostante. Ma sicuramente hanno goduto, a danno dei loro consumatori, di qualche vantaggio derivante dalla mancanza di concorrenza a cui il governo Monti sta cercando di porre rimedio. Dobbiamo solo sperare che il governo non si fermi qui e che vada avanti sino in fondo, per tutte le altre categorie che hanno goduto di questi vantaggi ingiustificati.
Tornare indietro adesso sarebbe un disastro, perché ci lascerebbe in mezzo al guado: il Paese soffrirebbe solo i costi dell’operazione senza arrivare a percepirne i benefici. Ogni barriera abbattuta genera un vantaggio relativamente piccolo e che in primo luogo favorisce gli altri, non chi ha perso la protezione. Molti, quindi, si stanno chiedendo se ne valga davvero la pena. Domanda legittima, ma a questo punto il governo non deve ascoltare queste sirene, soprattutto in Parlamento dove abbondano e tenteranno di annacquare il decreto: solo andando fino in fondo e in tutti i settori avrà avuto senso iniziare questo cammino. Se ora siamo preoccupati come lavoratori, il tempo dimostrerà che il gioco vale la candela perché presto cominceremo a percepire i vantaggi della maggiore concorrenza “degli altri”, non solo i costi della maggiore concorrenza “per noi stessi”.

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