“NON E’ SOLTANTO UN PAMPHLET DI PROPOSTA POLITICA […] IL LIBRO È LA STORIA EMBLEMATICA DI UN MODO D’INTENDERE E DI VEDERE INTERIORMENTE LA PROPRIA VITA PROFESSIONALE FRA RAZIONALITÀ, PASSIONE E CONVINCIMENTI PROFONDI”
Recensione in corso di pubblicazione nella rubrica “Letture Intelligenti” della Harvard Business Review Italia, marzo 2012
La singolarità della proposta di riforma del mercato del lavoro formulata da Pietro Ichino consiste nella scelta di una vera e propria prospettiva sistemica al cambiamento del diritto e del mercato del lavoro.
Questo modo di vedere sottende la necessità inderogabile di una profonda trasformazione del complesso di regole che contraddistinguono l’assetto tradizionale che essendo nato per la fabbrica fordista deve essere cambiato alla radice per divenire rispondente alle esigenze della società attuale ben diversa da quella di un tempo poiché dominata dai processi di globalizzazione ed abilitata da internet. Per potere far questo bisogna, anzitutto, semplificare l’intero ordinamento attuale affetto da inutili bizantinismi per arrivare a riuscire a racchiudere l’intero diritto del lavoro in soli sessantaquattro articoli. E’ necessario poi riformare il mercato del lavoro ispirandosi al concetto di “flexicurity” che trova applicazione nei sistemi economici più evoluti e che sottende, per l’appunto, la finalità di migliorare sia la flessibilità, che l’occupazione come pure la sicurezza sociale. Il modello della “ flessisicurezza “ trova un’applicazione concreta e complessivamente assai positiva in Danimarca. In questo Paese, infatti, è stata praticata una deregolamentazione del mercato del lavoro attraverso una strategia integrata che comporta sia minori vincoli per le imprese, in modo da garantire loro le condizioni per un rapido adattamento alle richieste del mercato, significativi investimenti in un efficace modello di formazione continua capace di adattare le competenze dei lavoratori ai bisogni
del sistema produttivo ed il sostegno da parte di efficienti servizi per l’impiego nonché di un impianto assicurativo capace di sostenere i lavoratori, in maniera appropriata, durante il periodo di disoccupazione.
Tale modello viene sostenuto sia dallo Stato come pure da quote corrisposte dalle imprese che attivano le azioni di mobilità. Ecco in Italia, secondo Pietro Ichino, dovremmo avvicinarci il più possibile al traguardo danese. Ciò senza chiedere un contributo aggiuntivo statale anche per responsabilizzare le aziende riguardo al sostegno dei lavoratori in cerca di occupazione. Questo in base al principio che più rapidi sono i processi di messa in mobilità e di ricollocazione dei lavoratori minore risulta il costo a carico delle imprese e della società e quindi più elevati sono la performance del sistema economico, l’equità ed il benessere collettivo.
Inoltre l’assegno per i senza lavoro dovrebbe essere sufficientemente congruo rispetto alla retribuzione degli interessati ed erogato per un periodo pari al tempo del rapporto intercorso con l’impresa e con un tetto massimo di tre anni. La condizione per il mantenimento dell’indennità di disoccupazione è che il lavoratore non si rifiuti di aderire alle azioni di formazione continua indirizzate alla sua riqualificazione professionale ed a quelle mirate al suo collocamento in una nuova occupazione. E’ in questo quadro che tutti i lavoratori accettano un contratto unico di lavoro a tempo indeterminato più flessibile. Questo attraverso un modello di protezione della stabilità basato, in caso di licenziamento, su un’indennità che può arrivare fino ad un massimo di diciotto mensilità. Certo l’esportabilità del modello danese di “flexisecurity” nel nostro Bel Paese viene fortemente messa in dubbio da varie parti. Ad esempio l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano sottolinea come la cultura della Danimarca sia profondamente diversa dalla nostra essendo profondamente impregnata dall’etica calvinista e da un forte senso di cittadinanza che da noi sarebbe tutto da costruire.
Inoltre in terra danese il lavoratore che perde il posto viene preso in carico da una rete di uffici di collocamento molto efficienti e distribuiti capillarmente sul territorio che si occupano di offrirgli rapidamente nuove adatte occasioni lavoro impegnandosi a fornirgli , nel contempo, una formazione professionale mirata e di elevata qualità. Per far fronte a queste categorie di argomentazioni il modello di “flexsecurity” sembra, in molte proposte avanzate da studiosi, politici e sindacalisti, aver finito per essere sostituito da analisi parziali riferite all’intervento su singole leve di funzionamento del mercato del lavoro in modo da poterle ripensare ed agire alla luce della situazione attuale e delle sfide che si presentano in prospettiva. In altre parole, da parte di molti, la visione unitaria e sistemica di Ichino è stata , per così dire, “spacchettata” alla luce del motto che “il meglio è nemico del bene”. Ne consegue che il problema di riforma del mercato del lavoro, in molte occasioni, ha finito, nuovamente come era accaduto in passato, per essere considerato rispetto ai singoli temi oggetto dei cambiamenti quali: le tipologie di contratto, la formazione continua, la flessibilità del mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Ma al di là di questo stato di cose bisogna sottolineare che per potere davvero comprendere non solo i contenuti ma anche il significato più profondo del l libro “ Inchiesta sul lavoro” si deve constatare che esso non è certo un “instant book” e nemmeno solo un buon libro di diritto del lavoro, di economia e di sociologia e neppure soltanto un pamphlet di proposta politica indirizzato a correggere gli “effetti perversi” generati dagli interventi parziali che si sono succeduti a partire dagli anni novanta ed a superare il dualismo fra i lavoratori protetti e quelli precari (gli insider e gli outsider). Il saggio è invece, prima di tutto, un racconto personale vissuto ossia una narrazione intimamente autobiografica del lungo percorso sviluppato dall’Autore dapprima come sindacalista, poi come ricercatore nel campo del diritto del lavoro e quindi come politico in Parlamento.
Insomma il libro é una storia emblematica di un modo d’intendere e di vivere interiormente la propria vita professionale fra razionalità, passione e convincimenti profondi.