POMIGLIANO: QUANDO LA SINISTRA SBAGLIA IL BERSAGLIO

RIFLESSIONI IN MARGINE ALLA VISITA DELLO STABILIMENTO FIAT E A UN EPISODIO DI CONTESTAZIONE NELL’UNIVERSITÀ DI NAPOLI AL GRIDO “CONTRO MARCHIONNE, CONTRO IL PRECARIATO”: CHI DEMONIZZA UN INSEDIAMENTO INDUSTRIALE ECCELLENTE COME QUESTO SI ASSUME UNA RESPONSABILITÀ GRAVISSIMA VERSO IL PAESE

Lettera sul lavoro pubblicata sul Corriere della Sera del 24 gennaio 2012  – Seguono la replica dei rappresentanti della Fiom di Pomigliano, pubblicata dal Corriere della Sera il 26 gennaio, e la mia controreplica pubblicata dallo stesso quotidiano il giorno successivo

Caro Direttore, venerdì mattina ho visitato in ogni reparto il nuovo stabilimento della Fiat di Pomigliano. Il pomeriggio dello stesso giorno, all’Università di Napoli, ho assistito all’intervento urlato di un gruppo di contestatori; uno dei loro slogan era “contro Marchionne e contro il precariato”. Ho provato una stretta al cuore per l’inganno di cui quei ragazzi sono vittime. E per la responsabilità grave che tanta parte della sinistra italiana si assume demonizzando un insediamento industriale come questo.
           Ho visto moltissime fabbriche metalmeccaniche; ma una come questa di Pomigliano non l’ho vista mai. Non mi riferisco all’esercito dei robot del reparto lastratura, che compiono interamente da soli il lavoro più pesante e pericoloso: il montaggio e la saldatura della scocca, la struttura della Panda. Mi ha impressionato molto di più il resto della fabbrica, dove a operare direttamente sono le persone. La prima cosa che mi ha colpito è stata l’assenza di rumore, l’ampiezza degli spazi, la distribuzione della luce, l’azzurro della rete dei vialetti, con strisce spartitraffico e passaggi pedonali, che attraversano le zone di lavoro; gli uffici con le pareti di cristallo collocati in mezzo al percorso del montaggio, quasi a sottolineare il superamento di ogni distinzione tra operai e impiegati. Poi il serpentone giallo: la nuova “catena” che catena non è più, collocata su di un largo nastro di parquet tirato a lucido, che si sposta lentamente, dove anche a me estraneo viene consentito di muovermi liberamente nei larghi spazi tra una postazione e l’altra. Tutto è strutturato in funzione della persona che lavora: è la scocca ad abbassarsi o rovesciarsi, non le braccia ad alzarsi. I lavoratori, per lo più giovani, ragazzi e ragazze, tutti con una tuta bianca pulitissima, suddivisi in gruppi di cinque o sei e tra loro intercambiabili. Scelgo a caso quelli o quelle con cui parlare a tu per tu. Tutti mi dicono che la nuova organizzazione è meno pesante della precedente. La paga-base mensile lorda di un quinto livello, qui, è sopra i 1700 euro, quasi 1550 per un terzo livello; poi ci sono il premio e gli scatti; quando entrerà in funzione il terzo turno, a questi si aggiungerà il compenso per l’ora e mezza media settimanale di straordinario e la maggiorazione per il lavoro notturno.
            Uscito di lì, attraversando le vie sdrucite della periferia di Napoli, mi frulla per la testa la frase più benevola che ho sentito dalle mie parti politiche riguardo a questo stabilimento due anni fa, quando si discuteva del progetto “Fabbrica Italia”: “Sì, purché sia un’eccezione”. Ma perché questa diffidenza? Solo per le due deroghe marginali che il progetto comportava rispetto al contratto collettivo nazionale, delle quali la più rilevante riguardava appunto la possibilità di un’ora e mezza di straordinario alla settimana? A me sembra che dovremmo, semmai, auspicare altri cento stabilimenti come questo per lo sviluppo del nostro Mezzogiorno, per rimettere in moto la crescita del nostro Paese. Altro che “un’eccezione”!
            Oggi l’obiezione è che a Pomigliano si viola la democrazia sindacale, perché non viene riconosciuto il diritto della Fiom-Cgil a una rappresentanza in fabbrica. Questo è il risultato ‑ conforme, peraltro, alla legge vigente ‑ del rifiuto opposto dalla stessa Fiom alla firma di qualsiasi contratto collettivo applicato dalla Fiat. Cambiamo questa norma. Però l’attacco violentissimo contro il piano “Fabbrica Italia” è venuto molto prima che sorgesse il problema della rappresentanza sindacale. E la guerriglia giudiziaria contro il progetto, l’opposizione a che qualche cosa di simile a Pomigliano si faccia anche altrove, prescinde da questo particolare problema.
            Si dice, ancora: “La Fiat non ha chiarito il suo piano industriale”. Sarà; ma qui c’è un investimento colossale che sta dando lavoro per almeno quattro anni a migliaia di persone; e lavoro di alta produttività e qualità, relativamente ben retribuito. Chiediamo pure chiarimenti ulteriori sul futuro, ma qui c’è già qualcosa di chiarissimo per il presente, che stiamo disprezzando senza neppure degnarlo di uno sguardo (il sindaco di Napoli De Magistris ha rifiutato di visitare lo stabilimento!). Oltretutto, disprezzandolo, presentiamo a tutte le multinazionali che potrebbero essere interessate a investire da noi un’immagine repellente del nostro Paese.
            Ai ragazzi del centro sociale “contro Marchionne e contro il precariato” ho chiesto: non vi accorgete che, tolto Marchionne, vi resta solo il lavoro nei sottoscala controllati dalla camorra? Chi incita al rifiuto di un investimento come quello della Fiat-Chrysler su Pomigliano, da dove pensa che possa venire lo sviluppo del Mezzogiorno e la crescita di questo Paese?

LA RISPOSTA DEI RAPPRESENTANTI DELLA FIOM DI POMIGLIANO: NON È LA CITTÀ DEL SOLE
(26 gennaio 2012)
Caro professore Ichino,
abbiamo letto la sua lettera sul Corriere della Sera e abbiamo pensato di rivolgerci a lei, dalle stesse colonne, nella speranza di non spezzare il filo del dialogo tra chi esprime opinioni diverse.
Innanzitutto, e non è per spirito polemico, vorremmo dirle che noi operai di Pomigliano eravamo già puliti, prima della nascita della newco.
Le confessiamo che abbiamo provato anche un po’ di fastidio nel leggere la sua descrizione della fabbrica: una location da spot, proprio come quello della nuova Panda, in cui si esalta la creatività di chi vi lavora mentre scorrono le immagini di un’operaia che si sveglia con il sorriso, prepara la colazione e il caffè (che beve, a proposito di immagini stereotipate, affacciata ad un balcone che ricorda quello di Eduardo in “Questi fantasmi”), accompagna serenamente i figli a scuola e poi attraversa la città, senza traffico, per recarsi a lavorare.
Una pubblicità, per definizione, deve essere accattivante: del resto, serve a vendere un prodotto. Ma viene da chiedersi, vivendo nella realtà e non nella pubblicità: ma a che ora arriva la signora al lavoro, dopo tutte quelle “pause”?
Caro Professore, noi sappiamo che la realtà è ben diversa e pensiamo che lei abbia una frequentazione saltuaria delle fabbriche. Lei ha avuto la fortuna di entrare in quella fabbrica, la maggioranza di noi lavoratori no. Sappiamo che molti, per la natura industriale del progetto, probabilmente non vi rientreranno. E’ un problema politico enorme, non le pare?
Così come un problema politico è la discriminazione ai danni dei lavoratori iscritti alla Cgil perpetrata dopo una sentenza esecutiva del Tribunale di Torino che condanna la Fiat per condotta antisindacale a Pomigliano e riconosce alla Fiom la possibilità di esercitare il suo ruolo sindacale, pur non avendo firmato l’accordo. In forza di una distorta interpretazione dell’articolo 19 dello statuto dei lavoratori, così come modificato dal referendum del 1995, le spieghiamo le mosse di Fiat (altro che “due deroghe marginali”): contratto aziendale sostitutivo del contratto nazionale con l’aggiramento (legale?) dell’articolo 2012 del codice civile; uscita da Confindustria per non essere vincolata ad accordi interconfederali; utilizzo della crisi e del possibile ridimensionamento della forza lavoro occupata, per selezionare i lavoratori da “riassumere”. Si fa sapere loro che chi è iscritto alla Fiom non sarà richiamato ed il gioco è fatto.
Le chiediamo: cosa ha da temere la Fiat? Sul serio possiamo pensare che il “manager dei due mondi” possa temere il “saldatore di Castelnovo ne’ monti”?
E se tutto fosse come da lei descritto, così bello (si lavora meglio, si guadagna di più, nessun rumore o puzza), quanto pensa durerebbe un sindacato che si porrebbe contro questa “città del sole”? Qual è la necessità di terremotare il diritto del lavoro per come si è consolidato nel nostro paese.
Vuoi vedere che la realtà è diversa da come appare ai suoi occhi di visitatore occasionale?
Le rivolgiamo un invito: venga a trascorrere qualche settimana con noi, provando a “leggere” la vicenda da quest’altra parte, non ricorrendo a stereotipi e luoghi comuni sul sud. Scoprirà, forse, anche le ragioni dell’amarezza di chi, per tenere aperto lo stabilimento, si è beccato le randellate sulla testa dalla polizia; che qualche pregiudizio negativo nei nostri confronti, inconsapevolmente, lei lo ha maturato; che abbiamo una dignità di lavoratori cui non intendiamo rinunciare. E che c’è un mezzogiorno che vuole svilupparsi, con un’idea diversa da quella di Marchionne, o di chi la pensa come lui, che non teme di confrontarsi.
Francesco Percuoco e le rsu Fiom

LA MIA CONTROREPLICA: CAMBIAMO LA LEGGE, MA TENIAMOCI LA FABBRICA-GIOIELLO
(27 gennaio 2012)
Caro Direttore, rispondo alla lettera dei rapresentanti Fiom di Pomigliano pubblicata ieri sul Corriere. C’è anche la versione della direzione aziendale, che nega la discriminazione, sostenendo che, semplicemente, gli ex-iscritti alla Fiom assunti nel nuovo stabilimento non si iscrivono più al loro vecchio sindacato. La spiegazione è plausibile, perché se fosse per la Fiom, la nuova fabbrica non sarebbe mai nata. Però, certo, può essere che le cose non stiano così. C’è un modo per verificarlo: il procedimento d’urgenza previsto dalla legge n. 125/1991, che consente al lavoratore di denunciare la discriminazione limitandosi a mostrare l’indizio statistico (com’è che, con tutti i ricorsi promossi dalla Fiom, di questo non si è vista traccia?). Quanto al riconoscimento della rappresentanza Fiom, la norma oggi in vigore (articolo 19 dello Statuto) priva di quel diritto il sindacato che non abbia firmato alcun contratto applicato in azienda. Considero anch’io sbagliata questa norma: tre anni fa ho presentato un disegno di legge (n. S-1872) per stabilire il principio che la coalizione sindacale maggioritaria può contrattare, anche in deroga rispetto al contratto nazionale, con efficacia estesa a tutti, e il sindacato minoritario può non firmare senza perdere il diritto alla rappresentanza riconosciuta. Ma la Fiom si opponeva anche a quella soluzione, sostenendo che il contratto nazionale dovesse rimanere intangibile. Sta di fatto che ora, con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, la possibilità di deroga rispetto al contratto nazionale è accettata anche dalla Cgil; dunque le ragioni originarie dell’opposizione al contratto aziendale di Pomigliano sono cadute. Perché dunque ora la Fiom non firma quel contratto, se non altro per ottenere il diritto alla rappresentanza in fabbrica? Davvero vogliamo mettere in discussione un gioiello della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro come lo stabilimento di Pomigliano solo per un puntiglio sindacale? Propongo comunque una soluzione ragionevole: cambiamo la legge sulle rappresentanze sindacali e teniamoci lo stabilimento-gioiello. Almeno su questo la Fiom sarebbe d’accordo?

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