LA VERA CONCORRENZA NON SI DÀ ALLO STATO DI NATURA, MA RICHIEDE UNA SOFISTICATA STRUMENTAZIONE: SERVIZI PIÙ COMPETITIVI, MAGGIORE CONTROLLO DELL’AUTORITÀ PUBBLICA E MISURE A DIFESA DEI CONSUMATORI
Fondo di Franco Bruni pubblicato su la Stampa il 19 gennaio 2012
Le informazioni disponibili sulle «liberalizzazioni» che discuterà il Consiglio dei ministri disegnano un vasto programma di interventi per stimolare la crescita producendo di più a prezzi inferiori. Si incide soprattutto sul settore dei servizi, che costituisce il 70% del Pil, dai trasporti ai servizi professionali e finanziari, dalla distribuzione dell’energia a quella dei giornali. Servizi più competitivi significano costi minori anche per il settore manifatturiero.
Per l’Italia migliorare la regolamentazione dell’attività economica è cruciale: la Banca Mondiale ci colloca nel 25% peggiore dei Paesi dei quali valuta la qualità delle regole; se passassimo nel quarto migliore, il tasso di crescita del Pil aumenterebbe di due punti.
Vedremo nei dettagli che cosa verrà effettivamente varato dal governo. L’ampio spettro delle misure susciterà dibattiti specifici. Ci saranno critiche e richieste di miglioramenti, come è logico data la complessità del provvedimento.
Se però questo rimarrà vasto e non avrà, come non pare abbia, timidezze nei confronti degli interessi speciali più forti, il giudizio d’insieme dell’opinione pubblica sarà positivo: molti avranno un privilegio in meno ma godranno dall’interruzione dei privilegi altrui. Il negoziante dovrà fronteggiare un orario di apertura più lungo ma beneficerà di una minor parcella dell’avvocato; il farmacista sarà meno protetto dalla concorrenza ma pagherà meno il gas, e così via. Anche i mercati finanziari reagiranno positivamente: ai tassi di interesse sui nostri debiti non può che far bene la notizia dell’introduzione di misure favorevoli alla crescita (cioè al denominatore del rapporto fra debito e Pil) con un consenso che mostra come nel Paese l’interesse generale sappia prevalere sui privilegi.
I privilegi che le misure proposte fanno cadere non sono solo di privati ma anche di enti pubblici che oggi forniscono servizi in un regime di insufficiente concorrenza, con una casistica molto varia che va dai trasporti locali alle aziende parastatali del settore energetico. La rimozione di monopoli pubblici ha un significato speciale: è un capitolo della riforma della pubblica amministrazione, nella quale va incentivata la produttività e l’efficienza, punita l’inerzia e monitorata in modo trasparente la qualità delle prestazioni fornite ai cittadini. Aprire la concorrenza nei servizi pubblici non significa mettere il pubblico in un angolo, magari a favore di oligopolisti privati: può anzi esaltare la capacità del pubblico di produrre meglio e, in alcuni casi, di battere il privato proprio nella gara concorrenziale. Il settore pubblico è una enorme galassia dove il successo e l’innovazione di un comparto possono diventare contagiosi e indicare a tutti la strada per acquistare nuova efficienza e, soprattutto, nuova stima e considerazione dai cittadini. Il governo dovrebbe al più presto intitolare un capitolo apposito delle sue politiche alla valorizzazione dei servizi pubblici, creando sul tema una vera mobilitazione nazionale. Anche perché i servizi pubblici sono utilizzati più che proporzionalmente da chi ha minor fortuna economica e sono il modo più concreto di ridistribuire il reddito reale. Con i provvedimenti per la concorrenza un passo importante viene comunque fatto. Speriamo che gli utenti dei treni pendolari possano presto prenderne atto.
La seconda osservazione generale è che la parola «liberalizzazioni» può essere ingannevole. Può far pensare all’ideologia del mercato senza regole che risolve le cose da solo, senza attenzione e impegno della politica economica. Sarebbe meglio parlare, fin nel titolo dei prossimi provvedimenti, di misure per lo stimolo della concorrenza e la diffusione dei mercati. La concorrenza e il mercato hanno bisogno di regole per sussistere, sono il risultato di un sofisticato approccio di politica economica che rimuove ciò che li ostacola, vigila sul loro funzionamento, corregge le degenerazioni con le quali i mercati tendono a volte a suicidarsi.
Se su una tratta ferroviaria vi è più di un’impresa di trasporti a far correre i suoi convogli, c’è più concorrenza ma non ci sono meno regole. Anzi, aumenta il lavoro e l’importanza dell’autorità pubblica che controlla la qualità del trasporto, le comunicazioni alla clientela, la logistica con cui i treni di diversa proprietà si alternano sulla rete senza sovrapporsi causando sprechi e disastri. Se i bar possono restare aperti dopo le otto di sera diventa ancor più essenziale garantire che nella strada di fronte non si facciano festini rumorosi, invasioni di suolo pubblico e posteggi in terza fila. Se le licenze dei bagnini vengono rimesse all’asta sarà ancor più importante controllare che chi le compra non riduca le spiagge ad ammassi di cemento. Per promuovere la concorrenza occorre togliere protezioni e cambiare le regole, non abolirle. Il problema è la qualità della regolamentazione, da conquistare senza arroganze ideologiche.
Anche per questo i provvedimenti non possono essere violenti e semplicistici. E chi difende gli interessi delle corporazioni privilegiate dalle vecchie regole non può cavarsela dicendo che senza regole i consumatori rischiano di venire imbrogliati da avvocati incapaci che si svendono, da taxi scassati che concorrono senza regole, da università libere che vendono fumo a caro prezzo. Le regole che difendono i consumatori, là dove è presumibile che non siano in grado di difendersi da soli, rimangono anche quando viene promossa la concorrenza fra i produttori. Sono regole che la politica può porre con severità senza doversi affidare alla buona volontà delle corporazioni dei produttori protetti.