LA LIBERALIZZAZIONE DEGLI ORARI DEI NEGOZI, COME L’AUMENTO DELL’ETÀ DEL PENSIONAMENTO, È UNA MISURA VOLTA AD AMPLIARE LA BASE PRODUTTIVA: SI LAVORA, SI PRODUCE E SI VENDE DI PIÙ SE SI TIENE GLI ESERCIZI APERTI ANCHE LA SERA O NEL WEEK-END
Intervista a cura di Antonella Benanzato pubblicata su Il Giornale di Vicenza il 7 gennaio 2012
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Veneto come la Danimarca. Un ideale laboratorio di sperimentazione del modello scandinavo della flexsecurity. Qui imprese e sindacati ne stanno discutendo. Mentre il governo Monti studia incentivi per testarlo. L’anticipazione giunge da Pietro Ichino, senatore del Pd e giuslavorista, componente della Commissione Lavoro a Palazzo Madama.
Senatore Ichino, il Veneto potrebbe essere il terreno ideale per un test sulla flexsecurity?
Di più. Il Veneto potrebbe essere laboratorio di flexsecurity. E sul territorio c’è già qualcuno che ci sta pensando seriamente, sia sul versante imprenditoriale che sindacale. Tecnicamente è possibile: un accordo quadro regionale potrebbe dettare le linee per la sperimentazione anche a legislazione invariata. Inoltre, penso che il governo stia considerando anche quella di un incentivo a sperimentazioni di avanguardia.
Ma qui potrebbe funzionare?
La flexsecurity è la conciliazione tra flessibilità per le strutture produttive e sicurezza per le persone nel mercato del lavoro. In sintesi: quanto più è ampia la base produttiva e più alto il tasso di occupazione, tanto più facile è attivare un sistema di flexsecurity ben funzionante.
Ma proprio in Veneto si discute sulle liberalizzazioni degli orari di apertura dei negozi. I commercianti sono sul piede di guerra. Non saranno i piccoli esercizi ad essere penalizzati dalla grande distribuzione?
La liberalizzazione degli orari, come l’innalzamento dell’età per la pensione, è una misura volta ad aumentare la base produttiva. Si lavora e si produce di più se si resta in azienda fino a 65 anni invece che ritirarsi a 60; si lavora e si produce di più se si lavora anche la sera o durante il week-end, invece che tenere le saracinesche abbassate. Può essere che questo riduca marginalmente il fatturato di chi preferisce tenere chiuso il negozio, ma l’effetto della liberalizzazione è di stimolo all’economia: anche chi tiene chiuso alla fine ne beneficierà.
Il governo sta anche studiando un’ipotesi di contratto graduale per i lavoratori maturi, con la possibilità di part-time, di riduzione dell’orario di lavoro a vantaggio di nuove assunzioni più giovani. È una strada percorribile?
Certo. Lo scopo, però, non è quello di fare spazio al lavoro dei giovani, ma al contrario di favorire il più possibile il prolungamento dell’attività degli anziani. Finalmente abbiamo capito che un anziano che continua a lavorare invece che ritirarsi con la pensione non porta via lavoro ai giovani, ma al contrario consente un risparmio di risorse che può consentire la creazione di un posto di lavoro in più per un giovane.
Si parla anche di tutoraggio per i giovani che entrano nel mondo del lavoro.
È il servizio di orientamento scolastico e professionale, che oggi in Italia fa difetto, e che invece dovrebbe raggiungere capillarmente ogni giovane all’uscita da un ciclo scolastico. Come cerco di spiegare nel mio ultimo libro ‘Inchiesta sul lavoro’ a questo gravissimo difetto va assolutamente posto rimedio.
In sintesi si cerca di andare verso il contratto unico o prevalente che dir si voglia, dando un colpo di spugna agli atipici. Ma se scompaiono i co.co.pro, è realistico pensare che le aziende assumeranno?
Questo rischio non dovrebbe esserci se il costo del lavoro si ridurrà e se si elimineranno le rigidità in uscita.
Come funzionerebbe?
Tutti i progetti di legge sul tappeto prevedono una nuova definizione della nozione di “lavoro dipendente”, di facile e immediata applicazione. Dove il rapporto di lavoro rientri in quella nozione, si applicherebbe un’aliquota contributiva previdenziale universale del 28 per cento e una nuova disciplina del licenziamento a protezione crescente.