PORRE L’ITALIA IN CONDIZIONI MIGLIORI PER ATTIRARE SUL PROPRIO TERRITORIO IL MEGLIO DELL’IMPRENDITORIA MONDIALE: PER QUESTO È NECESSARIA ANCHE UNA LEGISLAZIONE SUL LAVORO PIÙ SEMPLICE E ALLINEATA CON I MIGLIORI STANDARD INTERNAZIONALI
Intervista a cura di Nicola Maranesi, pubblicata sul quotidiano la Discussione il 3 gennaio 2012
Professor Ichino, le più recenti stime effettuate dal ministero dello Sviluppo parlano di 300 mila posti di lavoro in pericolo nel 2012: è una stima condivisibile o eccessivamente allarmistica?
Purtroppo mi sembra una stima largamente condivisibile. Del resto, anche nei tre anni di crisi che abbiamo appena passato l’ordine di cifre è stato quello. Con una differenza, però.
Quale?
Che finora la grande maggioranza dei posti di lavoro perduti è stata costituita da posti di serie B o C: contratti a termine, “lavori a progetto”, collaborazioni autonome fasulle con partita Iva e simili. Ora, invece, incominciano a chiudersi periodi di Cassa integrazione a zero ore attivati per differire dei licenziamenti di lavoratori stabili, quelli protetti dall’articolo 18.
I sindacati, in particolar modo la Cgil, chiedono al governo di licenziare un “Piano” per limitare i danni: in cosa potrebbe consistere un “Piano”? Il governo detiene dei reali strumenti attivabili in tempi brevi per favorire l’occupazione?
La sola leva che possiamo attivare oggi per aumentare fortemente la domanda di lavoro nel nostro Paese consiste nell’aprirlo agli investimenti stranieri. Per questo aspetto, oggi l’Italia è penultima in Europa: peggio di noi fa soltanto la Grecia. Se riuscissimo ad allinearci a un Paese europeo che occupa una posizione mediana nella graduatoria, come l’Olanda, questo porterebbe un aumento del flusso annuo di investimenti in entrata pari al 3,6 per cento del nostro Pil, cioè quasi 60 miliardi, che vogliono dire centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro ogni anno.
Che cosa occorre per rendere l’Italia più attrattiva per i piani industriali che possono venire dall’estero?
I difetti da correggere sono molti: occorrono meno burocrazia, infrastrutture più efficienti, costo dell’energia più basso. Ma è importantissima anche una legislazione del lavoro più semplice e allineata ai migliori standard internazionali. Questo è quello cui essenzialmente tende il disegno di legge n. 1873/2009 per il nuovo Codice del lavoro semplificato, ispirato al modello della flexsecurity scandinava.
L’Ufficio federale di statistica tedesco ha appena diffuso i dati d’occupazione in Germania, dove nel 2011 hanno lavorato in media circa 41 milioni di tedeschi, uno su due. È un record: cosa possiamo “copiare” dal modello tedesco?
Della Germania imiterei la legalità diffusa, l’elasticità degli orari di lavoro e la struttura della contrattazione collettiva, che attribuisce al contratto nazionale la funzione di rete di sicurezza, cioè di “disciplina universale di default”, ma consente al contratto aziendale di sostituire integralmente il contratto nazionale.
I sindacati hanno scavallato l’anno agitando, insieme alle proiezioni sulla disoccupazione, lo spettro dello scontro sociale. Ritiene oggettivamente motivata la preoccupazione e condivide la prassi di insistere su certe dichiarazioni pubbliche per condizionare l’azione dei vari governi?
Non credo che lo scontro sociale possa in qualche modo contribuire a scongiurare una grave crisi occupazionale. Anzi, esso semmai può aggravarla. Mi pare che i sindacati dovrebbero cooperare a quella riforma della legislazione e del mercato del lavoro di cui ho detto, anche per consentire al Paese di tirare in casa propria il meglio dell’imprenditoria mondiale.