LAVORATORI E CONSUMATORI (O UTENTI DEI SERVIZI) SONO OGGI PER LA QUASI TOTALITÀ LE STESSE PERSONE: TECNICHE E LIVELLI DI PROTEZIONE DEI PRIMI DEVONO ESSERE DETERMINATI TENENDOSI CONTO DEI COSTI CHE NE DERIVANO PER I SECONDI
Articolo di Andrea Ichino ed Enrico Moretti, economisti, pubblicato sul Sole 24 Ore del 27 dicembre 2011
Gli operai inglesi ai tempi di Marx e Engels producevano beni che erano consumati da altri: i padroni del capitale, la borghesia, la nobiltà. Nell’Italia del primo dopo guerra, i lavoratori della Fiat e dell’Alfa non potevano permettersi le macchine costruite con la loro fatica. Quella era un’epoca in cui c’era un contrasto strutturale tra produttori e consumatori. Difendere i diritti dei lavoratori comportava, anzi richiedeva, il danneggiare i consumi di persone diverse dai lavoratori stessi. Le battaglie del sindacato avevano un senso, perchè i consumi della borghesia erano possibili solo grazie alla fatica di lavoratori che non avevano accesso ai frutti del loro lavoro: i “contadini curvi” della “Locomotiva” di Francesco Guccini!
Oggi non è più così, ma Camusso, Fassina e Bonanni non se ne sono ancora accorti. Oggi, gli operai e gli impiegati consumano un paniere di beni molto simili a quelli che loro stessi producono, e che è più o meno lo stesso paniere consumato dalla borghesia, escludendo un manciata di super ricchi. Tutti comprano automobili, elettrodomestici, telefonini, computer, mandano i loro figli a scuola, utilizzano i treni e i trasporti pubblici, hanno bisogno di impiegati comunali, di medici e di infermieri. Le differenze di classe nella tipologia di consumi si sono fortemente ridotte perché i prezzi della maggior parte dei beni e servizi sono scesi in relazione ai salari. Nel dopoguerra, pochi potevano permettersi l’aereo per le vacanze, perché aveva un costo esorbitante rispetto al salario medio. Il telefono e la televisione erano lussi per pochi. Oggi, quasi tutti possono permetterseli.�
Questo cambiamento epocale, che in parte è proprio il risultato delle lotte e delle conquiste sindacali del passato, è il motivo profondo per cui le vecchie strategie sindacali, il cui emblema è la difesa dell’Art. 18, oggi non hanno più senso. L’insegnante che fa male il proprio mestiere lede i diritti del figlio del tramviere. E il tramviere assenteista rende la vita impossibile all’insegnante che ha bisogno del tram per andare al lavoro. Allo stesso modo, l’operaio che monta male la portiera della macchina danneggia l’impiegato comunale che la compra; e l’impiegato comunale che va a fare la spesa durante l’orario di lavoro peggiora un servzio di cui l’operaio ha bisogno. Se i negozi sono costretti a chiudere la sera, la domenica, e il primo maggio per proteggere i diritti dei commercianti e dei loro dipendenti, a smenarci sono altri lavoratori che non possono fare la spesa o divertirsi nei giorni liberi. In questo mutato contesto, non ha più senso difendere i diritti dei lavoratori a danno di quelli dei consumatori. Oggi siamo tutti sia lavorarori che consumatori per gli stessi beni.�
L’obiezione del sindacato e dei conservatori del PD è nota: l’articolo 18 non si tocca perchè, anche se dalla sua esistenza trae vantaggio qualche lavoratore che non merita di essere protetto, una società civile non può correre il rischio che venga punito un lavoratore senza colpa: in dubio, pro reo. Poteva essere una posizione ragionevole quando i lavoratori non consumavano ciò che producevano. In quel mondo, l’importante era proteggersi dallo sfruttamento dei padroni: se qualcuno ne traeva vantaggio ingiustamente poco importava alla massa enorme di chi senza quelle protezioni faceva fatica a sopravvivere.
Ma oggi i costi di questa logica sono di gran linga superiori ai benefici. Il lavoratore meritevole è danneggiato dalla protezione ingiustamente offerta al lavoratore che non merita, perchè ne consuma il prodotto imperfetto. Se la protezione contro i licenziamenti consente a un medico incapace di curare l’operaio o ad un insegnate assenteista di non educarne il figlio, l’operaio dovrebbe cominciare a pensare se non fosse meglio farne a meno.
Non è ancora chiaro se gli operai – e gli italiani in genere – questo lo abbiano capito. Fino ad oggi l’italiano medio non ha colto che se la protezione di cui gode sul posto di lavoro danneggia il consumo di altri, le protezioni date agli altri sul loro posto di lavoro danneggiano il suo consumo. E quindi preferisce un contratto sociale nel quale nessuno corre il rischio di perdere il lavoro ingiustamente, proprio perché non si rende conto che in questo modo la torta da dividere è più piccola. Più piccola perché c’è sempre qualcuno che approfitta della situazione per prendersi la sua fetta senza partecipare alla produzione.
Quello che è certo è che così il Paese non può crescere. Tirare avanti con una torta più piccola pur di dare piena assicurazione a tutti ha dei costi troppo alti, specialmente per i giovani e i più deboli nella società. Bassa crescita significa che non ci sono occasioni di lavoro per chi cerca un primo impiego, i salari medi sono bassi e nessuno all’estero si fida più a darci il credito che fino ad oggi ci ha consentito di vivere al di sopra delle nostre possibilità reali.