RISPOSTA A SEL SULLA RIFORMA DEL LAVORO

LA COORDINATRICE NAZIONALE DI SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTÀ TITTI DI SALVO HA POSTO UNA SERIE DI DOMANDE SUL PROGETTO FLEXSECURITY, CHE SONO OGGETTO DELLA MIA INTERVISTA PUBBLICATA IL GIORNO DOPO SUL QUOTIDIANO DEL PD

Intervista a cura di Simone Collini, pubblicata da l’Unità il 29 dicembre 2011

Perché sostenere un governo come quello Monti che, come dice Bersani, non fa al 100 per cento quello che farebbe il Pd?
“Perché è in gioco la salvezza del Paese, la sua stessa unità e integrità nazionale”, risponde il senatore del Pd Pietro Ichino. “Perché sono in gioco i risparmi e la sicurezza degli italiani, soprattutto dei più deboli. Perché è la via obbligata per partecipare in prima fila alla costruzione dell’Europa, se questa è davvero la nostra scelta strategica, senza ripensamenti. Ma anche perché qualche responsabilità, in questa crisi di credibilità del nostro Paese sul piano internazionale, la hanno tutte le forze politiche, compresa la sinistra: questa fase politica è necessaria anche per una decantazione delle faziosità e per un ripensamento critico di tutti.

Pietro Ichino è il primo firmatario di un disegno di legge (1873/2009) contenente il cosiddetto progetto flexsecurity cui ha implicitamente fatto riferimento Mario Monti nel discorso programmatico del 17 novembre scorso al Senato. Professor Ichino, perché sostiene che l’abolizione dell’articolo 18 è una misura necessaria per far crescere il Paese?
Nel mio progetto l’articolo 18, per la parte in cui esso difende libertà e dignità della persona che lavora, non viene affatto abolito, ma vede addirittura raddoppiato il proprio campo di applicazione. Parlo della protezione contro i licenziamenti discriminatori, di cui oggi i co.co.co., i “lavoratori a progetto”, i lavoratori “con partita Iva” fasulla e simili non godono per nulla e con la riforma incomincerebbero a godere, insieme alle altre protezioni essenziali.

Resta la domanda che pone l’esponente di Sel Titti Di Salvo in un intervento sull‘Unità di ieri: “in un momento di crisi come questo, il governo deve occuparsi di licenziamenti o di come creare nuovi posti di lavoro?”
La riforma che propongo non darebbe luogo ad alcun licenziamento, poiché è destinata ad applicarsi soltanto ai nuovi rapporti di lavoro. D’altra parte, proprio in un momento di gravissima incertezza circa le prospettive economiche, anche le imprese che hanno bisogno di assumere sono più riluttanti a farlo con contratti a tempo indeterminato rigidi. Ecco perché proprio in questo momento di crisi è urgente sostituire, per i rapporti che si costituiranno da qui in avanti, la vecchia tecnica protettiva con una nuova, capace di conciliare la flessibilità delle strutture produttive con la sicurezza del lavoratore.

Ma ha senso tutto questo, quando il 95% delle aziende italiane è escluso dal campo di applicazione dell’articolo 18?
Il dato che conta è costituito dal numero dei rapporti di lavoro dipendente cui quella norma si applica, che è circa la metà del totale. In questa metà del tessuto produttivo oggi è difficilissimo essere assunti a tempo indeterminato; e nell’altra metà il rischio del precariato è altissimo: per questo occorre voltar pagina rispetto a questo dualismo. E poi, perché il Paese torni a crescere è indispensabile che aumenti la dimensione media delle imprese, occorre quindi eliminare il più possibile gli incentivi per le imprese a rimanere piccole.

Ma le imprese medio-grandi già oggi possono attuare licenziamenti collettivi e anche individuali per soppressione del posto di lavoro.
Se le cose stessero davvero così, la sola novità portata dal mio progetto sarebbe costituita da un trattamento di disoccupazione più robusto per i licenziati. La verità è che oggi la riduzione degli organici, mediante licenziamento collettivo o individuale, di fatto si può fare soltanto quando l’impresa è già in crisi, altrimenti il rischio per l’impresa di una sentenza negativa è altissimo. In un tessuto produttivo sano, invece, l’aggiustamento deve poter avvenire prima, per prevenire la crisi. Quello che va garantito ai lavoratori non è, come oggi in Italia, la dilazione del licenziamento, ma una robusta sicurezza economica e professionale nel passaggio da vecchio al nuovo posto di lavoro.

Bersani ha più volte sottolineato che la priorità oggi non è l’articolo 18 ma la riforma degli ammortizzatori sociali.
La priorità è costituita senza dubbio dal sostegno del reddito a chi perde il posto. Ma le due questioni vanno affrontate insieme. Se si offre alle imprese maggiore flessibilità, si può chiedere loro di farsi carico di un trattamento complementare di disoccupazione, necessario per portare il nostro trattamento complessivo ai livelli del nord-Europa. Per altro verso, questo stesso schema consente di affidare alle imprese il potere-dovere di scegliere il migliore servizio di assistenza al lavoratore licenziato e di attivare un controllo efficace sulla sua disponibilità per tutto quanto è necessario per il reperimento della nuova occupazione. Altrimenti, se il sostegno del reddito non è soggetto a questa condizione, esso produce un allungamento dei periodi di disoccupazione, così peggiorando il funzionamento del mercato del lavoro.

Non pensa che nella “fase 2” del governo Monti ci siano misure molto più urgenti di questa?
Liberalizzazioni, spending review e dismissioni del patrimonio pubblico poco o male utilizzato per poter ridurre le tasse sul lavoro e sulle imprese, tutte queste sono misure urgenti. Ma non lo è di meno la riforma del lavoro. Il nostro Paese ha assoluto bisogno di attrezzarsi per il trasferimento, in condizioni di sicurezza economica e professionale, dei lavoratori dalle imprese in declino o chiusura a quelle in fase di espansione. Su questo terreno siamo ancora all’anno zero.

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