NASCONDONO LA PREOCCUPAZIONE CHE LA GENTE INCOMINCI A ENTRARE NEL MERITO DELLA QUESTIONE E SI ACCORGA CHE NESSUNO CI PERDE, MENTRE IMPRESE E NUOVE GENERAZIONI DI LAVORATORI CI GUADAGNANO
Intervista a cura di Alessandro Barbera, pubblicata da la Stampa il 21 dicembre 2011
Professor Ichino, come giudica le polemiche sulle parole del ministro Fornero a proposito dell’articolo 18?
Servono a troncare il discorso sul nascere, a creare uno sbarramento nell’opinione pubblica. È una vecchia tecnica politica, che in questo caso nasconde una paura inconfessata.
Paura di cosa?
Paura che la gente incominci davvero a studiare la questione e si accorga che sono allarmi costruiti sul nulla. Quando negli incontri pubblici spiego che il progetto riguarda soltanto i nuovi contratti, le ansie scompaiono. E quando spiego che a tutti i giovani che entrano nel mercato del lavoro si offre un contratto a tempo indeterminato disciplinato secondo gli standard internazionali, nessuno ha il coraggio di parlare di “attacco ai diritti dei lavoratori”.
Gli oppositori alla riforma dicono che in tempi di recessione non si riforma la materia dei licenziamenti. Non è d’accordo?
È vero il contrario. Quanto maggiore è l’incertezza, tanto più è importante offrire alle imprese la possibilità di assumere a tempo indeterminato sapendo che all’occorrenza potranno sciogliere il rapporto senza troppe difficoltà.
Come mai in Italia discutere di articolo 18 è così difficile?
Le radici vanno cercate in quella sorta di lottizzazione consociativa che nella prima Repubblica riservava a socialisti e comunisti la politica del lavoro, alla Dc quella economica e industriale. A sinistra ci sono ancora molti che sopportano male l’aver perso il monopolio sul tema del lavoro.
La Fornero ha anche detto che i salari in Italia sono troppo bassi. La riforma dell’articolo 18 garantirebbe salari più alti o invece il problema è che si pagano troppe tasse in busta paga?
Certo che esiste un problema fiscale. Ma per aumentare i salari occorre anche aumentare la domanda di lavoro. E oggi, per aumentare la domanda di lavoro non abbiamo altro mezzo possibile che aprire il Paese agli investimenti stranieri. Anche per questo è importante allineare la nostra legislazione del lavoro ai migliori standard internazionali.
Il problema della bassa produttività è legato al tipo di contratto di lavoro?
Il punto qui è semmai il difetto di formazione e l’indifferenza delle retribuzioni al risultato: questa resta la regola in troppi contratti di lavoro, pubblici e privati. Per uno stipendio magari basso, che però matura comunque, ci sono sempre lavoratori che si impegnano a fondo, se non altro per rispetto verso se stessi; allo stesso tempo ci sono anche altri che se la prendono comoda, fino al limite – raro, per fortuna – del non far nulla. Una più marcata iniezione di meritocrazia farebbe bene a tutti.
Un possibile compromesso a favore della riforma dell’articolo 18 potrebbe essere l’introduzione di un reddito di inserimento. Ma non costa troppo? E non rischia di accadere come in Spagna, dove ha avuto effetti distorsivi?
Il problema è proprio questo: non abbiamo ancora imparato a condizionare l’erogazione degli assegni di disoccupazione alla disponibilità effettiva del beneficiario a fare tutto quanto è necessario per tornare al lavoro.
Quale pensa sarà la proposta del ministro sulla riforma dell’articolo 18? Più vicina alle sue tesi o al contratto unico elaborato da Boeri e Garibaldi?
Questo dovete chiederlo al ministro.
Lei considera il progetto Boeri-Garibaldi valido o invece, come lamentano alcuni, pensa che non cambierebbe il sistema di ammortizzatori in vigore fondato sulla cassa in deroga?
In Senato ho firmato anche quel progetto, nella versione a firma Nerozzi, perché lo considero comunque un passo avanti. Però non mi piace quella soglia dei tre anni di anzianità oltre i quali torna ad applicarsi l’articolo 18: rischia di trasformarsi in una tagliola. Resta poi il fatto che quel progetto non affronta la questione della sicurezza economica e professionale del licenziato, che invece è la parte qualificante del mio progetto.
Una obiezione alla sua proposta è: il contratto a tempo indeterminato non lo si può attendere vent’anni. Cosa risponde?
Nel mio progetto, tranne qualche eccezione, tutti i lavoratori devono essere assunti fin dall’inizio a tempo indeterminato, e tutti godono fin dall’inizio dell’articolo 18 contro le discriminazioni. Certo, nessuno è inamovibile; ma a chi perde il posto per motivi economici od organizzativi viene garantita sicurezza economica e professionale secondo standard scandinavi.