Intervista a cura di Silvia Cerami, in corso di pubblicazione su l’Espresso del 23 dicembre 2011
Professor Ichino, ma è vero che garantire licenziamenti più facili produce più crescita e occupazione?
Non ho mai affermato questo. Ho detto invece – e di questo gli studi empirici offrono una evidenza del tutto univoca – che la protezione più rigida della stabilità del posto di lavoro produce questi due effetti: aumenta la durata media dei periodi di disoccupazione e genera un dualismo di tutele nel tessuto produttivo. In altre parole, le imprese cercano di scaricare la flessibilità di cui hanno bisogno su di un “polmone” di lavoratori periferici poco o per nulla protetti.
Ha senso questo teorema in una fase di recessione?
Maggiore è l’incertezza circa il futuro, maggiore è la riluttanza delle imprese ad assumere lavoratori con un contratto di lavoro stabile a tempo indeterminato. La fase di recessione è dunque proprio il momento in cui è più importante riformare in questa direzione la disciplina applicabile ai nuovi rapporti di lavoro. Il progetto di cui parliamo, infatti, riguarda soltanto i nuovi rapporti e non i vecchi: chi ha un rapporto di lavoro stabile regolare resta con la vecchia disciplina. Va anche detto che l’allineamento della nostra disciplina dei licenziamenti agli standard europei, per le nuove assunzioni, può anche avere l’effetto di facilitare l’ingresso in Italia degli investitori stranieri. E di questo abbiamo grande bisogno proprio in un periodo di recessione come questo.
Può essere l’aumento del flusso degli investimenti in entrata a generare un aumento di occupazione?
Sì. Basti pensare che se l’Italia si allineasse alla media europea per capacità di attrazione degli investimenti stranieri, questo si tradurrebbe in un aumento del flusso degli investimenti misurabile in decine di miliardi ogni anno. Cioè centinaia di migliaia di posti di lavoro in più. Va detto, però, che la nostra vecchia legislazione del lavoro non costituisce il solo ostacolo, su questo terreno.
C’è il rischio di una contrazione ulteriore dei consumi e quindi di una maggior recessione, se si offre alle aziende la possibilità di licenziare di più?
Come le ho detto, il progetto di cui stiamo parlando non consente affatto di licenziare più facilmente i lavoratori stabili già in organico. Quanto a quelli che verranno assunti nel nuovo regime, essi saranno – sì – più facilmente licenziabili in futuro; ma con una forte garanzia di continuità del reddito. È proprio questa garanzia a costituire un fattore anticiclico, evitando che la perdita di posti di lavoro nella congiuntura negativa generi riduzione dei consumi.