IL SOLE 24 ORE: IN CHE COSA PUÒ CONSISTERE LA RIFORMA

I LINEAMENTI ESSENZIALI DEL PROGETTO FLEXSECURITY E IL MOTIVO PER CUI LE BARRICATE SONO DESTINATE A ESSERE PROGRESSIVAMENTE RIMOSSE

Testo integrale dell’intervista a cura di Nicoletta Picchio, pubblicata (con alcuni tagli per ragioni di spazio) sul Sole 24 Ore del 20 dicembre 2011

Dopo le parole del ministro Fornero il sindacato, Cgil in testa, ha ribadito che l’articolo 18 non si tocca. Ma quale sarabbe l’impatto della riforma del mercato del lavoro su questo articolo?
Mario Monti lo ha detto chiaramente nel suo discorso programmatico del 17 novembre: la riforma riguarderà soltanto i nuovi rapporti di lavoro. Ai rapporti regolari stabili già costituiti continua ad applicarsi la vecchia disciplina. Questo è il motivo per cui tutti gli allarmi di questi giorni per una possibile “ondata di licenziamenti” non hanno alcun senso.

Secondo il Suo progetto viene modificata la disciplina dei licenziamenti per motivi economici e organizzativi (sia individuali che collettivi?): come ?
Per tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente il d.d.l. n. 1873/2009, che ho presentato due anni fa con altri 54 senatori del Pd, prevede l’applicazione dell’articolo 18 in materia di licenziamenti discriminatori: per questo aspetto, la norma vedrebbe raddoppiato il proprio campo di applicazione, perché oggi nell’area del lavoro precario essa non si applica. Per i licenziamenti dettati da motivo economico od organizzativo, invece, il controllo giudiziale sul motivo stesso verrebbe sostituito dalla responsabilizzazione dell’impresa per la sicurezza economica e professionale del lavoratore, nel passaggio al nuovo posto.

Il ministro Fornero ha parlato di contratto unico riprendendo la soluzione che tu indichi nel disegno di legge 1873: che tipo di flessibilitàr esterebbe in vigore?
Credo che con il termine “contratto unico” il ministro abbia inteso parlare di un “diritto del lavoro unico”, per tutti i lavoratori in posizione di sostanziale dipendenza. Nel mio progetto questa nozione è identificata con i tre elementi della continuità della prestazione di lavoro nel tempo, nella monocommittenza e nel reddito annuo inferiore a un limite, che proporrei di fissare a 40.000 euro. Ma nel progetto Nerozzi è fissato a 30.000 euro. In questo “diritto del lavoro unico” resterebbe ovviamente la possibilità di assumere un giovane come apprendista, oppure di stipulare un contratto a termine nei casi classici, come il lavoro stagionale, o le sostituzioni temporanee. 

Il contratto unico sarebbe un immediato rapporto di lavoro dipendente?
Sì, la grande novità è questa, che non sarebbero più necessari gli ispettori, gli avvocati e i giudici per accertare l’applicabilità del diritto del lavoro. I requisiti della continuità, monocommittenza e limite di reddito risulterebbero direttamente dai tabulati dell’Inps o dell’Erario. Dunque, in linea di principio, quando quei requisiti sussistono, d’ora in poi tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile. 

Per l’impresa cosa cambia? Come si concretizza la maggiore facilità nei licenziamenti?
L’impresa, per i nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti, non avrebbe più il costo pesante che oggi sopporta per il ritardo nell’aggiustamento degli organici. In compenso, dovrebbe destinare una parte del risparmio per integrare il trattamento di disoccupazione del lavoratore. E dovrebbe scegliere i servizi di outplacement e di riqualificazione mirata, il cui costo di mercato standard sarebbe coperto dalla Regione. 

La Sua proposta non è onerosa per le imprese?
No. Il costo relativo al ritardo nell’aggiustamento degli organici che esse oggi sopportano, anche se non è contabilizzato in nessun bilancio, è altissimo: quel ritardo oggi varia dai due ai sei anni, a seconda delle dimensioni dell’impresa e del settore. Il costo del “contratto di ricollocazione” cui il lavoratore licenziato avrebbe diritto, invece, sarebbe molto basso nei primi tre anni del rapporto; e anche negli anni successivi sarebbe sempre un costo mediamente inferiore rispetto a quello cui oggi un’impresa deve far fronte per un piano di incentivazione all’esodo. Comunque sarebbe un costo certo, predeterminabile. Proprio quel severance cost che le imprese italiane, a differenza di quelle di ogni altro Paese europeo, non hanno mai potuto prevedere con precisione. 

La Marcegaglia dice: il costo dell’indennità può essere sopportato in parte dalle imprese ma in parte devono esserci sussidi pubblici. Condivisibile?
Certo. Uno dei cardini della riforma deve essere l’estensione a tutti del trattamento speciale di disoccupazione, pari all’80 per cento dell’ultima retribuzione per il primo anno dopo il licenziamento. Per questo primo anno il trattamento complementare a carico dell’impresa sarebbe minimo: il 10 per cento di differenza per arrivare al livello danese. Che aumenterebbe all’80 per cento nel secondo anno, tutto a carico dell’impresa, ma solo se non sarà riuscita a ricollocare il lavoratore entro il primo anno: un forte incentivo a scegliere bene i servizi di outplacement e di riqualificazione. E a scegliere bene il tutor che gestirà il rapporto personale con il lavoratore in questo percorso.

Il governo ha annunciato che vuole andare avanti con i tagli proprio per reperire risorse da destinare a questo argomento: quanto serve?
Per generalizzare il trattamento speciale di disoccupazione all’80 per cento basta un sesto di quello che oggi spendiamo per la Cassa integrazione a zero ore “a perdere” attivata per mettere in freezer i lavoratori licenziati, per nascondere il sudicio sotto il tappeto. 

Al sindacato si fanno appelli a non avere approcci ideologoci. Ma non è facile: sarebbe il caso di cominciare la discussione dagli ammatorizzatori sociali, andando avanti per step ed arrivare per ultimo alla flessibilità in uscita? In modo da far intravvedere al sindacato i punti positivi della riforma e superare le resistenze?
Non c’è un prima e un dopo: la riforma, se vuole essere organica, va discussa e definita tutta insieme. 

Sarà possibile realizzare la riforma per la primavera?
È un impegno che abbiamo preso con l’Europa. Ed è possibile rispettarlo. La riforma è matura sia sul piano tecnico, sia su quello politico. Basta osservare che un anno fa il Senato ha votato a larghissima maggioranza una mozione di Francesco Rutelli che impegnava il Governo a varare una riforma modellata sul mio d.d.l. n. 1873/2009.

Si sono viste anche le resistenze a sinistra: Cesare Damiano ha appena dichiarato che l’articolo 18 non è una priorità.
Però lo stesso Damiano in un’intervista di venerdì ha proposto di rinviare l’applicazione dell’articolo 18 all’inizio del quarto anno di lavoro. E Sergio Cofferati sabato sera nella trasmissione di Telese e Porro su La7 ha detto di apprezzare molto il progetto Boeri-Garibaldi, che prevede la stessa cosa. Dunque anche loro pensano che l’articolo 18 non sia un totem.

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