POSTO DI FRONTE ALLA QUESTIONE CIRCA IL COME VOLTAR PAGINA DAVVERO RISPETTO AL REGIME DI APARTHEID FRA PROTETTI E NON PROTETTI, IL PD È COSTRETTO A LASCIAR PERDERE IL TABÙ DELL’ARTICOLO 18 E A INDICARE UN REGIME PROTETTIVO SUSCETTIBILE DI APPLICARSI DAVVERO A TUTTI
Intervista a cura di Stefano Feltri, pubblicata su il Fatto Quotidiano, il 18 dicembre 2011 – In argomento v. anche l’intervista a Cesare Damiano pubblicata sullo stesso quotidiano il 17 dicembre 2011
Il governo Monti presto costringerà il Pd a scegliere da che parte stare. Con chi vuole difendere le tutele esistenti – a cominciare dall’articolo 18 – o con chi le vuole ripensare per garantire più diritti a chi oggi è fuori dal sistema, come i giovani precari e le partite Iva. “Non credo alla licenziabilità che produce lavoro”, ha detto l’ex ministro del Welfare Cesare Damiano al Fatto. Gli risponde Pietro Ichino, senatore Pd, giuslavorista. Le sue posizioni sono state finora minoritarie nel Pd, ma ora sembrano coincidere con la linea del governo.
Professor Ichino, il premier Monti ha già detto che, chiusa la manovra, una delle priorità sarà la riforma del mercato del lavoro. Cosa si aspetta?
Convocherà partiti, sindacati, associazioni rappresentative di parti sociali interessate e dirà loro: ‘Dobbiamo adempiere entro maggio l’impegno con l’Unione europea: per i rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti, dobbiamo emanare una disciplina che sia applicabile davvero a tutti, per voltar pagina rispetto alla situazione attuale di apartheid fra protetti e non protetti. E dobbiamo farlo senza accollare, almeno per ora, maggiori costi allo Stato. Fermi questi punti, chiunque abbia buone idee sul come fare, le metta subito sul tavolo’.
Cesare Damiano, sul Fatto di ieri, dice che queste sono sue posizioni personali e non del Pd.
Il discorso programmatico di Monti ha degli evidenti punti di contatto con il mio progetto flexsecurity. E dal maggio 2010 il Pd ha preso le distanze da questo progetto. Ma quando, a gennaio, il governo indicherà quei punti fermi della riforma, il Pd non potrà esimersi dal dire come intende risolvere il problema. Damiano l’ha detto: non è un problema di disciplina dei licenziamenti, ma solo un problema di costi. Occorre aumentare il costo del lavoro precario ed estendere a tutti gli ammortizzatori sociali. Per gli ammortizzatori sociali, occorre anche dire dove si reperiscono i fondi. Il mio progetto risolve questo problema a costo zero per lo Stato, utilizzando meglio una parte dei fondi che oggi vengono sperperati in cassa integrazione a zero ore e a fondo perduto, per estendere a tutti un trattamento speciale di disoccupazione; e chiedendo alle imprese di farsi carico di un trattamento complementare di disoccupazione per i lavoratori che licenziano.
Poi c’è la proposta del Pd di aumentare il costo del lavoro precario.
Su questo punto, la proposta del Pd di aumentare i contributi è stata già accolta nella legge di stabilità dell’estate scorsa. Ma è evidente che non basta. Anche perché la vera grande differenza di costo tra lavoro regolare e lavoro precario è data dalla difficoltà di sciogliere il rapporto quando ce n’è bisogno.
Damiano dice che non è così, perché la maggior parte del lavoro precario si annida proprio nelle piccole imprese, dove non si applica l’articolo 18.
Nel mio ultimo libro, Inchiesta sul lavoro, ho dedicato alcune pagine a mostrare l’errore grave di lettura dei dati Istat che sta alla base di questo argomento, che è anche il cavallo di battaglia di Stefano Fassina. Comunque nessuno può pensare seriamente che basti parificare i contributi previdenziali fra lavoro subordinato e collaborazioni autonome per eliminare il problema dell’apartheid.
Lei sostiene che riformare il lavoro implica comunque una revisione della normativa sui licenziamenti. Che nel dibattito pubblico diventa “cambiare l’articolo 18”. Ma Damiano obietta: non si può abbassare le difese contro i licenziamenti in un momento di crisi come questo.
Il mio progetto non le abbassa affatto: non le tocca proprio. La riforma riguarda soltanto i nuovi rapporti che si costituiranno da qui in avanti. Per i quali non abbassa le difese, ma le rende più efficaci e soprattutto più adatte ad applicarsi davvero a tutti. È proprio in una situazione di gravissima incertezza, come questa, che le imprese sono più riluttanti ad assumere i lavoratori a tempo indeterminato e con vincoli forti al licenziamento. È proprio ora che una disciplina più flessibile è indispensabile per facilitare le assunzioni a tempo indeterminato.
Una delle perplessità sul suo progetto è che l’assicurazione per chi perde il lavoro sarebbe a carico dell’impresa. Con un aumento del costo del lavoro.
Non ci sarebbe un aumento del costo del lavoro. Oggi le imprese italiane, quando hanno necessità di sciogliere uno o più rapporti di lavoro per ragioni economiche od organizzative, affrontano un ritardo tra i due e i sei anni, a seconda delle dimensioni: un costo molto rilevante, anche se non è contabilizzato come tale. La proposta è questa: risparmiate quel costo e utilizzate una parte del risparmio per il trattamento complementare di disoccupazione a favore dei lavoratori licenziati. I costi di mercato della parte restante del trattamento, cioè dei servizi efficienti di outplacement e di riqualificazione mirata può essere coperta agevolmente dalle Regioni, attingendo anche ai contributi del Fondo Sociale Europeo.
Ma chi garantisce che le imprese non continuino ad assumere i nuovi dipendenti con la partita Iva, o con altri sotterfugi?
Nel nuovo regime non occorreranno ispettori, avvocati e giudici per accertare il lavoro subordinato, come accade oggi. I dati rilevanti perché si applichi integralmente il nuovo diritto del lavoro emergeranno direttamente dai tabulati dell’Erario o dell’Inps: carattere continuativo del rapporto, monocommittenza, reddito medio-basso del lavoratore.
Il Pd rischia di spaccarsi sul lavoro? C’è chi parla di scissioni.
No. Accadrà soltanto che l’iniziativa decisa del governo su questo terreno costringerà il Pd a una nuova riflessione approfondita. Occorrerà chiedersi, per esempio, se sia davvero meglio il periodo di prova allungato a tre anni proposto da Damiano, oppure una regola che faccia crescere gradualmente l’indennizzo a favore per il lavoratore già dopo sei mesi di rapporto. Se sia meglio l’attuale situazione in cui l’articolo 18 si applica a meno di metà della forza-lavoro e l’altra metà è totalmente scoperta; oppure la mia riforma, che estende l’articolo 18 a tutti per la parte in cui esso serve davvero, cioè la repressione delle discriminazioni, e dà a tutti un protezione di livello scandinavo contro il licenziamento per motivi economici.
In caso il governo presenti una riforma ispirata al suo modello, su quali sponde può contare, tra Pd e Pdl?
Al Senato, una larga maggioranza del gruppo Pd sostiene il mio progetto. Tutte le componenti del Terzo polo lo hanno fatto proprio. E anche il Pdl è sostanzialmente disponibile. Già un anno fa il Senato si è pronunciato a larghissima maggioranza a favore di una mozione di Rutelli che impegnava il governo a varare una riforma modellata sul mio progetto. E anche alla Camera, credo che quando si entrerà nel merito della riforma si vedrà che le obiezioni “di sinistra” non riguardano, in realtà, questo progetto: si riferiscono a qualche cos’altro, che non è all’ordine del giorno.
La Cgil di Susanna Camusso potrebbe cercare una nuova grande battaglia per ritrovare un po’ di compattezza.
Non lo credo proprio. Ce la vede, lei, la Cgil a fare le barricate contro una riforma che non tocca i lavoratori regolari stabili, e a tutti i new entrant offre un rapporto a tempo indeterminato, con articolo 18 contro le discriminazioni e una protezione di livello scandinavo su tutti gli altri fronti?