GIORNALE DI SICILIA: I TEMPI SONO POLITICAMENTE MATURI IN ITALIA PER LA FLEXSECURITY?

ALLA DETERMINAZIONE DEL NUOVO GOVERNO SU QUESTO TERRENO CORRISPONDE UNA NOTEVOLE CONVERGENZA DI FORZE POLITICHE FAVOREVOLI ALLA RIFORMA – ANCHE NEI SINDACATI TIRA UN’ARIA NUOVA SU QUESTO TEMA 

Intervista a cura di Massimiliano Cannata, pubblicata dal Giornale di Sicilia il 17 dicembre 2011

La manovra da 30 miliardi varata dall’Esecutivo Monti è solo il primo passo. II programma nei primi mesi del 2013 si presenta molto impegnativo. Il “secondo tempo” per il Governo non sarà privo di insidie. La riforma del mercato del lavoro, già in agenda, sarà il primo complesso banco di prova. Professore Ichino cosa dobbiamo aspettarci?
Nel suo discorso programmatico Monti ha indicato in modo molto sintetico e incisivo le linee della riforma che intende attuare: per i nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti occorre un diritto del lavoro capace di applicarsi davvero a tutti coniugando maggiore flessibilità per le strutture produttive con maggiore sicurezza per i lavoratori. 

Quali sono i difetti principali del nostro sistema che vanno subito rimossi?
Principalmente il regime di apartheid tra lavoratori iper-protetti e lavoratori poco o per nulla protetti. Inoltre la mancanza di un sistema di sostegno del reddito dei lavoratori disoccupati davvero universale. Su questo terreno il problema maggiore non è costituito dalle risorse economiche, ma dalla capacità di condizionare l’erogazione alla disponibilità effettiva del lavoratore per tutto quanto è necessario per trovare una nuova occupazione.  

Francoforte e Bruxelles hanno chiesto all’Italia di rendere più facili i licenziamenti, da parte delle imprese. Questo significa toccare quello che, almeno in casa nostra, appare come un “totem” intangibile, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, cioè un’operazione che fin qui è risultata politicamente impossibile. Basterà il vincolo europeo per superare le resistenze?
Sul progetto di riforma del nostro diritto del lavoro che ho presentato due anni fa con altri 54 senatori del Pd si è verificata una larghissima convergenza da parte di tutte le altre forze politiche presenti in Parlamento, esclusa soltanto l’Italia dei Valori. Credo che sì, i tempi siano maturi per questa riforma.

Ma il Partito democratico non l’ha fatta propria.
L’aveva fatta propria all’inizio della legislatura, poi è prevalso un orientamento diverso. Ma tutto sommato non è stato un male che questo progetto non abbia avuto il sigillo ufficiale del Pd, perché questo ha favorito la convergenza su di esso delle altre forze politiche, anche politicamente contrapposte. Da ultimo il PdL, per bocca di Berlusconi e Sacconi.

È ottimista sulla possibilità di arrivare a dei risultati che possano trovare la condivisione anche delle parti sociali?
Se tra le parti sociali interessate mettiamo anche i giovani, gli outsider, sicuramente sì. Ma anche i sindacati stanno aprendosi a questa riforma: c’è già l’endorsement di una grande confederazione sindacale, qual è la Uil. Spero che presto arrivi anche quello della Cisl. E anche nella base della Cgil il mio progetto ora sta raccogliendo consensi.

Per quale ragione da noi la parola flessibilità è divenuta sinonimo di precariato ?
Perché metà della nostra forza-lavoro è ingessata, pressoché inamovibile, mentre l’altra metà porta tutto il peso della flessibilità di cui il sistema ha bisogno. Occorre invece un regime che estenda a tutti le protezioni essenziali, tra le quali anche il sostegno del reddito e l’assistenza intensiva nel passaggio dal vecchio posto di lavoro al nuovo.

Flexsecurity è la parola chiave della sua proposta, che non è stata compresa a fondo dall’opinione pubblica. Che cosa significa questo termine e a quali modelli europei il progetto si ispira?
In estrema sintesi: coniugare il massimo possibile di flessibilità per le strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale per i lavoratori, sul modello dei Paesi scandinavi. Una sicurezza che non potrà, dunque, basarsi sull’ingessatura del posto, ma solo sul sostegno del reddito e su di un’assistenza efficace nel mercato del lavoro, nel passaggio dalla vecchia occupazione a una nuova.

Quali sono le principali differenze tra il suo progetto e il progetto intitolato al “contratto unico”, sostenuto dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi?
Quel progetto prevede una netta flessibilizzazione del rapporto di lavoro nei primi tre anni, mentre il progetto flexsecurity la estende per tutta la durata del rapporto. Inoltre quest’ultimo, a differenza del progetto Boeri-Garibaldi, risponde all’esigenza di garantire a tutti un robusto sostegno del reddito condizionato alla disponibilità effettiva alla ricerca di una nuova occupazione.

Per adottare innovazioni significative che investano l’universo del lavoro nell’economia globalizzata bisognerà fare un “salto in avanti”. Tempi e metodi della rappresentanza dovranno interpretare le esigenze del mondo, in mutazione. CGIL, CISL e UIL hanno reagito subito male alla “cura” Monti. Secondo Lei i sindacati sono pronti a recepire le sfide che abbiamo di fronte?
Il problema dei sindacati è che essi rappresentano i lavoratori regolari stabili delle imprese medio-grandi, soprattutto del centro-nord, che dal vecchio diritto del lavoro traggono il massimo beneficio e non sopportano i costi. La riforma di cui stiamo parlando interessa, invece, soprattutto alle nuove generazioni, che il vecchio diritto del lavoro non lo vedono neppure di lontano; e che i sindacati rappresentano pochissimo. Però, come dicevo prima, la Uil ha già fatto proprio il progetto flexsecurity; e verrà presto anche una presa di posizione favorevole della Cisl.

Nel saggio Inchiesta sul lavoro, edito da Mondadori, lei sostiene che il nostro sistema delle relazioni industriali ha ostacolato l’afflusso di investimenti esteri in Italia.
Ha contribuito, insieme a diversi altri difetti del nostro sistema, a chiudere il nostro Paese alle multinazionali straniere. Lo avevo già sostenuto nel mio libro precedente, A che cosa serve il sindacato, del 2005; e la vicenda degli accordi Fiat di questi ultimi due anni ha mostrato che le cose stanno proprio così.

Si parla molto di spostare il prelievo fiscale dal lavoro e dall’impresa ai patrimoni e alle cose, cioè i consumi. Che cosa ne pensa?
Ridurre l’imposizione su lavoro e impresa in Italia oggi è davvero indispensabile. Ma la patrimoniale non può dare il gettito necessario. Il resto va ottenuto con una drastica riduzione degli sprechi e delle rendite nelle amministrazioni pubbliche.

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