IL PRINCIPIO DEL PLURALISMO SINDACALE NON VALE SOLO SUL VERSANTE DEI LAVORATORI, MA ANCHE SU QUELLO DELLE IMPRESE – NON È AFFATTO MALE CHE MODELLI DIVERSI DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA SI CONFRONTINO E COMPETANO
Intervista a cura di Nando Santonastaso, pubblicata sul Mattino di Napoli il 15 dicembre 2011 – Per reperire tutti gli altri documenti on line su questo sito relativi agli accordi di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco e le loro conseguenze, v. il portale La vicenda Fiat
Professor Pietro Ichino, nel giorno della nuova Panda, si chiude o inizia la stagione di Marchionne contro il vecchio sistema di relazioni industriali?
A giugno l’accordo interconfederale firmato da da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil aveva aperto, in ritardo di diversi anni rispetto agli altri maggiori Paesi europei, una stagione nuova, caratterizzata dal decentramento della contrattazione collettiva, nel sistema delle relazioni industriali governato da quelle confederazioni. Ora, con la firma del contratto Fiat “di primo livello”, cioè nazionale, si apre una stagione nuova anche all’esterno di quel sistema.
Che cosa vuol dire?
Il principio costituzionale del pluralismo sindacale non vale soltanto per i lavoratori, ma anche per gli imprenditori. Sono liberi di non iscriversi alle loro grandi confederazioni di settore e di far nascere dei sistemi di relazioni sindacali diversi, se hanno dall’altra parte del tavolo un sindacato vero che sia disponibile a contrattare. È esattamente quello che ha fatto Marchionne.
Quindi lei dà un giudizio positivo su questa vicenda?
Una volta esclusi sul serio i sindacati “di comodo”, che sono vietati dall’articolo 17 dello Statuto dei Lavoratori, il fatto che modelli diversi di relazioni industriali possano confrontarsi e competere tra loro è positivo. Può consentire di mettere in rilievo difetti e ritardi del sistema tradizionale. Che ci sono sicuramente: tant’è vero che quel sistema è riuscito ad autoriformarsi, con l’accordo interconfederale del giugno scorso, soltanto dopo lo “strappo” degli accordi Fiat del 2010.
Ma, entrando nel merito dei contenuti, questo nuovo contratto auto era davvero il meglio che si potesse ottenere dal tavolo azienda-sindacati?
Corrisponde ai terms and conditions praticati in tutto il Gruppo. A Pomigliano, a Mirafiori e a Grugliasco la maggioranza dei lavoratori li ha approvati anche perché sono comunque infinitamente meglio rispetto alla Cassa integrazione, o rispetto al lavoro nei sottoscala controllati dalla camorra. Per il futuro, se vogliamo avere maggiore e migliore possibilità di scelta dobbiamo aprire di più il nostro Paese agli investimenti delle grandi multinazionali: da vent’anni non ce n’è stata più una che abbia realizzato un grande insediamento industriale in Italia.
Si può tenere la Fiom fuori?
In questo caso l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori lo consente, in quanto la Fiom non è firmataria di alcun contratto collettivo applicabile nell’azienda. È il risultato del referendum del 1995, promosso anche da Rifondazione comunista.
Fa bene la Cgil a chiedere di cambiare questa norma?
Sì. Due anni fa ho presentato con altri 54 senatori PD un disegno di legge che attribuisce alla coalizione sindacale maggioritaria il potere di stipulare il contratto con efficacia per tutti, anche in deroga al contratto nazionale, e al sindacato minoritario il diritto di non firmare, senza perdere il riconoscimento in azienda. Se quella norma fosse stata in vigore, l’intera vicenda degli accordi Fiat si sarebbe svolta senza lacerazioni. E probabilmente la Fiat sarebbe ancora dentro Confindustria.
Il modello Pomigliano finirà per estendersi anche ad altre categorie produttive private?
Una diffusione a macchia d’olio non mi sembra per nulla probabile. Però esso costituisce un messaggio importante per le altre multinazionali che fossero interessate a investire da noi.
Marchionne è stato vago sul riassorbimento dell’intera manodopera di Pomigliano. Dipenderà dalle incognite di mercato sul nuovo prodotto o dai dubbi del rapporto con Cgil e Fiom?
Non ho alcun titolo per interpretare quel che l’Ad Fiat ha in testa. Una cosa è certa: cioè che la sua scelta circa il dimensionamento degli organici non può essere mirata a discriminare gli iscritti alla Fiom.