A CHI HA MENO DI 65 ANNI DOBBIAMO OFFRIRE UN “CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE” E NON UNA PENSIONE

DOBBIAMO SMETTERE DI PAGARE I CINQUANTENNI PER TENERLI FUORI DAL TESSUTO PRODUTTIVO E ATTREZZARCI INVECE PER GARANTIRE CHE FINO AI 66 ANNI CHI NON HA UN LAVORO SIA AIUTATO A TROVARLO, CONDIZIONANDO A QUESTA RICERCA IL SOSTEGNO ECONOMICO E VALORIZZANDO LA SUA COMPETENZA ED ESPERIENZA

 Lettera pervenuta il 6 dicembre 2011 – Segue la mia risposta

Professor Ichino buongiorno,
comprendo che la mia situazione può essere considerata marginale nell’ambito del sistema pensionistico italiano che, sono consapevole, va in diversi aspetti riformato. Tuttavia le conseguenze che possono derivare da una riforma che non tiene conto di situazioni particolari possono essere drammatiche per la vita delle famiglie coinvolte. Invano ho cercato di portare all’attenzione degli addetti ai lavori e anche dei media queste problematiche.
Le sottopongo brevemente la mia situazione, che poi ritengo sia presente in molte persone della mia età. Tra meno di un mese , il 3 gennaio 2012, compio 60 anni e con 36 anni di contributi – quota 96 – maturo il diritto alla pensione di anzianità. Ho lavorato come dirigente per 32 anni in un’azienda che ha chiuso ed è fallita. La mia posizione di dirigente non mi ha dato diritto né alla mobilità né a forme di Cassa integrazione – sebbene ne pagassi la relativa contribuzione; non ho avuto dall’azienda indennizzi in uscita vedi Guarguaglini di Finmecccanica – perchè il fallimento è giustificato motivo di licenziamento. Lei conosce queste situazioni. Successivamente, a 56 anni, ho potuto lavorare in diverse aziende a Firenze, Milano, Pescara, come impiegato o con contratto a progetto, sempre con contratti a termine e con retribuzioni più che dimezzate. Scaduto l’ultimo contratto non ho più trovato lavoro e sono rimasto disoccupato ormai da oltre 2 anni. Ho 36 anni di contributi INPDAI-INPS, più quasi 1 anno di contributi nella gestione dei parasubordinati, non cumulabili con i 36. Ho percepito nel periodo di disoccupazione l’indennità per un anno. In questi anni non ho mai rinunciato a cercare lavoro, cosa che è diventata sempre più difficile, specialmente per lavoratori della mia età. Mi creda, ho provato in tutti modi, anche a propormi per lavori diversi , ma non ho trovato nulla. Mi sono alfine rassegnato e attendevo con tanta ansia ma anche con preoccupazione la data della pensione, che per via delle riforme che si sono succedute con scaloni e scalini – si è continuamente allontanata. Adesso con la riforma del governo Monti la mia situazione è divenuta drammatica. Lei, persona che stimo, di cui condivido molte opinioni, ha portato in trasmissione [“Coffee break”, 5 dicembre 2011, La7, n.d.r.] più di una argomentazione che mi è parsa in linea con i contenuti i della riforma e, per quanto viene riferito alla mia situazione quota 96, disoccupato, meno di 30 giorni al compimento dei 60 anni – ha indicato come soluzione il ricorso a una società di outplacement che, al costo di 5-6 mensilità, mi troverà un lavoro per i prossimi anni.
Sinceramente non mi è sembrato un consiglio di grande conforto, dopo che si è detto, tra l’altro, che con la riforma verranno mantenuti i diritti della attuale normativa per le persone in mobilità.  Quindi, se ho capito bene, un dipendente di Termini Imerese di 55 anni e 31 di contributi, dopo i 5 anni di mobilità previsti potrà andare in pensione con quota 96, mentre io, con 60 e 37, no; mi si chiedono 67 anni di età o, in alternativa, se trovo un lavoro, 42 di contributi, con una penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipazione rispetto ai 66 anni di età. E’ bene evidenziare che al dipendente di Termini Imerese durante il periodo di mobilità, gli verrà dato un sussidio di 1600,00 circa (1000+600), a me che resto disoccupato 0,00, zero. Questo perche sono nato 3 giorni più tardi del dovuto, e perché ho lavorato con contratto a tempo determinato!
Chiedo: perché vengono garantiti i diritti acquisiti solo alle persone in mobilità e non anche a quelle disoccupate, il cui stato di disoccupazione è regolarmente certificato dal Centro per l’impiego alla data stabilita? C’è equità in tutto questo? Non credo.
C’è solo la condizione drammatica che sto vivendo, senza stipendio né sussidio da oltre un anno e nessuna prospettiva per i prossimi. Mi sono commosso anch’io vedendo il Ministro Fornero piangere mentre cercava di spiegare il sacrificio che si chiedeva ai pensionati che con una pensione di circa 1.000,00 euro dovevano rinunciare all’adeguamento del costo della vita 30,00 euro. Penso però che il Ministro in quel momento pensava a mia madre che prende 600,00 e non mai al mio vicino di casa, ex ferroviere andato in pensione con poco più di 40 anni d’età e 20 di contributi.
Stanotte però ho pianto anch’io e mi sono vergognato perché mia moglie se n’è accorta. Stamattina ho ricevuto telefonate di conforto dai miei figli che lavorano e studiano all’estero e che penso non torneranno più in Italia. Non voglio qui affliggervi oltremodo sul triste momento che stiamo vivendo io e la mia famiglia; la sto vivendo molto male perchè credo che quello che mi sta accadendo sia profondamente ingiusto. Questo perché sinceramente ritengo che lo Stato debba usare , per quanto riguarda il diritto alla pensione, lo stesso trattamento sia per le persone in mobilità che per quelle disoccupate. Se questo non può avvenire, allora mi deve essere consentito di chiedere la restituzione dei contributi versati all’INPS. Fino ad oggi io ho versato sulla base di un accordo che adesso lo Stato intende modificare e quindi sciogliamo il patto e lo Stato restituisca i soldi. Adesso mi occorrono; mi si deve permettere di avere un reddito per vivere dignitosamente e mantenere gli studi di mio figlio.
Mi ero proposto di essere breve ma non ci sono riuscito. La ringrazio per l’attenzione e la saluto con profonda stima
P.R.

Credo anch’io che le situazioni come questa debbano essere considerate attentamente nella definizione delle eccezioni alle nuove regole generali che vengono poste con l’intervento legislativo di cui stiamo discutendo e nella predisposizione delle provvidenze per chi vede invece allontanarsi la data del possibile pensionamento. Proprio in considerazione dei casi analoghi a quello di P.R. ho proposto al ministro del Lavoro di estendere a tutti i sessantenni senza lavoro un trattamento analogo a quello di mobilità (80 per cento dell’ultima retribuzione) e un servizio di outplacement, condizionato alla stipulazione di un “contratto di ricollocazione”  che vincoli il lavoratore a cooperare per il reperimento di una occupazione nel periodo che precede il pensionamento.
     Resta il fatto, tuttavia, che: a) non possiamo chiedere ai tedeschi di farsi carico del nostro debito, se manteniamo i parametri del nostro  welfare fortemente disallineati rispetto ai loro; b) non possiamo tornare a crescere se continuiamo a pagare le persone perché escano dal mercato del lavoro anche quando sono ancora pienamente in grado di lavorare: su questo punto dobbiamo urgentemente correggere un aspetto gravemente sbagliato della nostra cultura industriale e del lavoro; c) ai nostri figli e nipoti stiamo consegnando un sistema di welfaremolto, ma molto, più arcigno di quello di cui questo messaggio denuncia un marginale – anche se, certo, molto rilevante per la singola persona colpita – eccesso di rigore.
     Non c’è dubbio che debbano essere adottate in via transitoria tutte le eccezioni necessarie per i casi particolari di persone che ultimamente siano state coinvolte in ristrutturazioni aziendali, o anche in accordi individuali di risoluzione consensuale del rapporto strutturati sul presupposto dell’applicabilità delle vecchie regole; queste eccezioni sono già in larga parte previste nel testo varato dal Governo e spero che possano essere perfezionate in Parlamento nei giorni prossimi. Allo stesso modo l’età di pensionamento deve essere ridotta per chi svolge mansioni manuali fisicamente pesanti. Ma al di fuori di questi casi il problema va risolto in modo diverso.
     In linea generale, il difetto più grave del nostro sistema non sta tanto nel fatto che una persona non possa andare in pensione a 58 o 60 anni con 37 di contributi (possibilità che le sarebbe negata anche in Svezia, Germania o Gran Bretagna), quanto piuttosto nel fatto che un cinquantottenne o sessantenne nelle condizioni di P.R. non possa usufruire gratuitamente o quasi gratuitamente di un servizio efficace di
outplacement, capace di metterlo in contatto con le decine di aziende della sua provincia che potrebbero mettere utilmente a frutto la sua esperienza e la sua competenza, se il contatto si stabilisse. Anche per lo stesso interessato sarebbe una soluzione molto migliore il reperimento di un lavoro vero per altri tre o quattro anni, piuttosto che un pensionamento precoce.
È questo il motivo per cui considero importantissima una riforma del mercato del lavoro che ponga questi servizi essenziali a disposizione di tutti i lavoratori, gratuitamente: cosa che sarebbe possibile se utilizzassimo meglio i contributi del Fondo Sociale Europeo.   (p.i.)


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